Negli anni ’50, con la ripresa economica, l’esportazione del mito americano (e del suo cinema), le rivoluzioni socio-culturali, il consumismo e l’avanzamento tecnologico, la volontà di fare del cinema uno strumento non solo di svago, ma anche di comunicazione piùù seria, spinge i giovani europei a studiarne nuove concezioni, anche grazie al fatto che le apparecchiature tecniche diventano più leggere ed economiche. Nascono perciò nuove correnti, la più importante delle quali in Francia da un gruppo di critici militanti che osteggiano il cinema tradizionale che li precedeva. Il luogo simbolo di questa congrega è la Cinématéque Française, fondata nel 1934. Molti di questi critici scrivono sui celebri Cahiers du Cinéma (rivista inaugurata il 1/4/1951), elogiando i cosiddetti film “maledetti”, pellicole di autori americani e/o europei del dopoguerra, incompresi e sottovalutati dalla critica (fra cui Renoir, Rossellini, Becker, Hawks, Hitchcock).
10.1 poetica
La nouvelle vague si fonda su due idee: la “politica degli autori”, che riconosce il primato del regista come mero artefice della pellicola, e di conseguenza la “camera-stylo”, (espressione coniata dal regista Alexandre Astuc), ovvero l’idea che il regista debba usare la cinepresa come lo scrittore usa la penna: cioè deve conferire il proprio personale stile alla pellicola. Elementi comuni ai nuovi cineasti sono:
-Piano-sequenza
-troupe leggere
-location
-possibilmente ricorso alle luci naturali
-basso budget
-improvvisazione attoriale/ricorso ad attori amatoriali.
Come primo film della nuova corrente si può indicare Le Beau Serge (1958) di Chabrol, seguito da I quattorcento colpi e I cugini (1959) e Fino all’ultimo respiro (1960) di Godard, considerato manifesto della corrente, pieno di innovazioni (jump-cut, piani-sequenza, carrelli, voci-over, camera look, “errori/infrazioni” della grammatica canonica filmica).
10.2 il cambiamento della narrazione
Al primato dell’azione subentra il primato dell’osservazione: il racconto si sfrangia in digressioni e deviazioni. La drammaturgia si complica: è difficile distinguere bene e male, buoni e cattivi, gli estremi tendono a sparire. L’inquadratura è meno leggibile a causa della profondità di campo; spesso anzi il primo piano è più inutile dello sfondo. La narrazione viene stravolta dagli autori in diversi modi:
-Godard: gli interessa mostrare la potenza suggestiva del cinema più che raccontare una storia; più che mostrare delle azioni, mostra ciò che sta fra esse (attese, tensioni, non-fatto e non-detto)
-Truffaut: recupera l’elemento dell’imbonitore facendo recitare a voci off intere pagine di libri da cui trae i suoi film; più importante del racconto è l’atto di raccontare, quindi usa sbalzi temporali, freeze frame, oppure mostra azioni contrarie a quanto narrato.
-Rohmer: fa film in cui non c’è quasi azione, film di attese, pause, pensieri, idee.
10.3 conclusione: accanto alla nuovelle vague
Alcuni autori francesi dell’epoca non rientrano nella corrente suddetta.
-Jean Eustache e Garrel portano all’estremo l’uso del piano-sequenza con l’idea utopica di filmare il fluire della vita, coi rispettivi film “La maman et la putain” (1973) e “J’entends plus la guitare” (1991)
-Jean-Pierre Melville è padre del polar, film girati come documentari, sulla vita solitaria dei criminali.
-Jean Rouch, fautore di un tipo nuovo di documentario antropologico, in cui il regista è profondamente coinvolto nel tema che tratta, fino a comparire egli stesso nel film.