martedì 4 ottobre 2011

Rabah Ameur-Zaimeche

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Les Chants de Mandrin (2011) - 4/5

Ameur-Zaimeche (1966) francese algerino, ha diretto quattro film, l'ultimo dei quali è stato uno dei migliori proiettati al 64esimo festival del film di Locarno.

-Les Chants de Mandrin
Francia 2011 - storico/drammatico - 97min.

Francia, 1755. Dopo l'esecuzione del noto contrabbandiere Louis Mandrin, i membri della sua banda ne continuano l'attività, allestendo mercati illegali nei villaggi vendendo merci alla popolazione locale. Inoltre stanno architettando, con l'aiuto di un tipografo, di stampare "Les chants de Mandrin", una raccolta di poesie scritte da loro stessi con cui far conoscere le gesta del loro leader al popolo, in modo da ispirare loro l'anelito alla libertà.

Narrazione rarefatta, montaggio lineare, andamento lento e contemplativo: una composizione ieratica per un film che cerca tutto tranne che la verosimiglianza storica, ed in generale il realismo, per puntare alla poesia, all'estasi, al sublime. Les chants de mandrin è un film pienamente artistico, nel senso che ricerca la bellezza dell'arte in ogni inquadratura, musica, dialogo (e canzone), tralascia la crudezza di un combattimento in favore di un'armonia visiva di corpi che cadono e di fumo che esce dalle bocche dei fucili.

Lo spettatore che valuta negativamente il fatto che le vesti dei briganti siano sempre impeccabili, o che un assedio ad un villaggio o la liberazione di un ostaggio si risolvano in poche, incredibili battute, lo spettatore che si soffermi insomma su "errori" di attendibilità del racconto sbaglia evidentemente l'ottica con cui è necessario approcciarsi alla visione di questo film, poema visivo e sonoro che ha al suo centro il desiderio di libertà, osannato ed incarnato dalla figura di Mandrin, mai mostrato eppure continuamente ricordato (mitizzato insomma), che diventa emblema e rappresentazione della resistenza all'ordine oppressivo della monarchia (e in generale di qualunque regime repressivo della libertà personale).

Rabah Ameur-Zaimeche, algerino, dirige ed interpreta (mirabilmente) un film che ha il suo pregio più evidente nella fotografia pittorica di Irina Lubtchansky, che dà vita ad immagini di forte suggestione (fra tutte, i cavalieri in controluce ed il canto finale del marchese) facendo del contrasto fra luci ed ombre la sua marca stilistica. Ma le immagini non avrebbero lo stesso magico impatto senza la colonna sonora evocativa di Clastrier Valentin, specialista della ghironda, strumento musicale a corde di epoca medievale, con cui dà vita a toccanti sinfonie che si amalgamano con le immagini in un crescendo emozionale che ha pochi rivali. La lentezza del film può risultare indigesta a chi non gradisce un cinema di contemplazione, ma se ci abbandona a questo spettacolo cinematografico di gran classe non si potrà rimanere indifferenti.

Voto: 4/5

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