venerdì 26 agosto 2011

Ruslan Pak

-Hanaan (2011) - 3/5

Pak (1981), uzbeko-sudcoreano, è discendente di quarta generazione della minoranza coreana del paese. Prima di girare Hanaan, suo primo lungometraggio, ha diretto 4 corti ed ha studiato alla Korean National University of Arts.

-Hanaan
Corea del Sud 2011 - drammatico - 84min.


Nel 1937 una risoluzione firmata da Stalin e Molotov decretò la deportazione dei coreani che vivevano ai margini dell'impero sovietico (e per questo potenzialmente influenzabili dal vicino impero giapponese) in Kazakhstan e Uzbekistan. Ai giorni nostri, Stas (Stanislav Tyan) è un sudcoreano-uzbeko di terza generazione a Tashkent. Lavora in un autorimessa-officina e passa il tempo con dei coetanei suoi amici, tutti di bassa estrazione, che passano il tempo di adolescenti a sniffare e vivere di espedienti. Il fratello di uno di questi viene ucciso da una banda di criminali uzbeki; questo fatto innesca una serie di reazioni a catena che portano alla morte di uno degli amici di Stas, e alla fuga del capo dei delinquenti. Anni dopo, Stas è diventato agente di polizia, e deve fare i conti con un sistema corrotto complice dei trafficanti.

Film parzialmente autobiografico (la figura del regista si riconosce in uno degli amici del protagonista, Shin, che abbandona l'Uzbekistan per andare a studiare in Corea), Hanaan è in parte un film di denuncia sociale, in parte un avvincente film poliziesco, in parte un gangster, in parte un dramma esistenziale che inizia da una ricostruzione fedele di una realtà assai poco conosciuta in occidente, quella della minoranza etnica coreana in regioni ex-URRS. E' chiaro che un film del genere, trattando di un tema talmente lontano dai problemi e dall'interesse del pubblico europeo, non poteva che essere realizzato ottimamente per risultare interessante anche ai nostri occhi. L'obiettivo è stato raggiunto in primo luogo grazie ad un lavoro di sceneggiatura estremamente accurato, che potrebbe richiamare un nome quale quello di Martin Scorsese, per la crudezza e la violenza dei suoi racconti di vita di strada. Un popolo fuori posto è quello descritto da Ruslan Pak (qui al suo primo lungometraggio), una minoranza etnica senza sbocchi e prospettive che occupa gli strati sociali più bassi, costretta a vivere alle soglie dell'illegalità per necessità e non per volere. Ciò che emerge maggiormente dalla vicenda è, ancor prima dei sogni e delle speranze dei singoli personaggi, una comune volontà di riscatto, di fuga da una situazione ancor prima che da un luogo (non tutti vogliono per forza lasciare l'Uzbekistan), volontà quasi mai soddisfatta per mancanza di possibilità . Il punto di vista è quello di Stas, personaggio che incarna la figura di un pellegrino alla ricerca della sua terra promessa, e che attraversa tutte le classiche fasi di una quest: nemici, momenti di sconforto, apparente sconfitta e, se non proprio vittoria, relative pace e stabilità . Una storia costruita attentamente e narrata con attenzione particolare al coinvolgimento spettatoriale, non trascurando momenti umoristici, picchi drammatici, rigore documentaristico, insomma tutto lo spettro emozionale possibile per raccontare uno spaccato di vita suburbana con il giusto ritmo, né troppo lento né troppo veloce, trovando un equilibrio di montaggio raro in un'opera prima. Frequenti scene in notturna (o comunque in luoghi scarsamente illuminati) e in spazi ristretti restituiscono l'idea di un mondo opprimente cui è difficile sottrarsi. La luce si fa largo a fatica in un mare d'ombra, ad illuminare volti e, soprattutto, sguardi, spesso disillusi e stanchi. Gli ambienti sporchi, desolati e decadenti, la stagione fredda e tetra, le scene di ordinaria miseria sono fotografate con un taglio al contempo realista e ricercato, sociologicamente attendibile ed esteticamente curato. Da segnalare come negativi alcuni momenti prolissi che sicuramente avrebbero potuto essere accorciati, ed alcuni personaggi di contorno che avrebbero potuto essere più approfonditi. Difetti comunque perdonabili, che passano in secondo piano di fronte ad una narrazione potente e di sicuro impatto emotivo, che ci mostra un volto inedito non solo del popolo, ma anche del cinema sudcoreano.

Voto: 3/5

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