mercoledì 29 giugno 2011

Bernardo Bertolucci

La commare secca (1962)
Prima della rivoluzione (1964)
La via del petrolio (1965) - film inchiesta per la televisione
Amore e rabbia (1969) - episodio Agonia
Partner (1968)
Il conformista (1970) - 4/5
Strategia del ragno (1970)
Ultimo tango a Parigi (1972) - 1/5
Novecento (1976)
La luna (1979)
La tragedia di un uomo ridicolo (1981) - 2/5
L'ultimo imperatore (1988) - 4/5
12 registi per 12 città (1989) - episodio Bologna
Il tè nel deserto (1990)
Piccolo Buddha (1993)
Io ballo da sola (Stealing Beauty) (1996) - 1,5/5
L'assedio (1999)
The Dreamers (2003) - 1/5
Io e Te (2012)

Bertolucci (1940) è uno dei registi italiani più conosciuti all'estero, forte dell'Oscar ottenuto con "L'ultimo imperatore" e del successo di scandalo di "Ultimo tango a Parigi", nonché uno dei più sopravvalutati; altalenante fra produzioni imponenti e intimi quadri famigliari, è altalenante anche nella qualità dei suoi film. Ossessionato dal sesso, presente in maniera corposa e descritto in termini morbosi il più delle volte, è tuttavia capace di fini descrizioni psicologiche e contemporaneamente di narrazioni di ampio respiro, pur essendo dubbia la verosimiglianza storica dei suoi film in costume.

-Il conformista
Italia/Francia/RFT 1970 - drammatico - 110min.

Dal libro omonimo di Alberto Moravia (1951). Marcello Clerici (Jean-Louis Trintignant) è un uomo qualunque, un fascista qualunque, una spia qualunque. E' colui che serve il potere non per fede, ma per uniformarsi alla maggioranza; è sposato non per amore, ma per "dovere"; fa il suo lavoro di spia a Parigi, con un aiutante (Gastone Moschin) in borghese, spacciandosi per ex allievo di un professore italiano antifascista rifugiatosi in Francia. Quando deve ammazzarlo, è turbato, non ha il coraggio (non certo per scrupolo morale, ma per pura vigliaccheria), infine obbedisce all'ordine impartito. Tornato a Roma, dopo l'8 settembre, si crea un alibi per le sue malefatte.

Sicuramente il miglior Bertolucci, mai così lucido nella descrizione della meschinità umana provocata/accentuata dalla politica. Requisitoria anti-italiana più (ancor prima) che antifascista, denuncia l'attitudine del nostro popolo allo scaricabarile, all'auto-assolvimento, alla ricerca del capro espiatorio, alla dis-assunzione di responsabilità. Impeccabile a livello estetico (fotografia di Vittorio Storaro, montaggio di Franco Arcalli), virtuoso a livello recitativo (notevole nel ruolo della moglie oca Stefania Sandrelli, protagonista femminile assieme a Dominique Sanda, legate da un'attrazione saffica appena suggerita) trova in una regia che raramente saprà rimanere così equilibrata nella carriera di Bertolucci, che riesce a mantenere il giusto distacco dalla vicenda pur non mancando di personalizzarla.
Bel comparto musicale e finale memorabile.

Voto: 4/5

-Ultimo tango a Parigi
di Bernardo Bertolucci - Italia-Francia 1972 - drammatico - 131 min.

Un uomo di mezza età e una giovane donna si incontrano casualmente visitando un appartamento vuoto a Parigi, che diviene il loro nido d'amore segreto; lasciando fuori dall'appartamento identità e vissuto, i due sfogano nel sesso le ansie della loro vita quotidiana. ma il rapporto è destinato ad incrinarsi.

Il film è famoso per gli attacchi ricevuti dalla censura, che stavano per decretarne la definitiva distruzione.
E' un film basato sull'incontro di due solitudini che arrivano ad essere una cosa sola, un tuttuno pur senza conoscersi minimamente (stile Lost in Translation). Eppure in quello spoglio appartamento si sentono al sicuro, lontani dalle sofferenze del mondo esterno (che finiranno, infatti, per distruggerli), e arrivano a comprendersi l'un l'altro, senza bisogno di conoscersi: non sanno neppure i loro nomi.
Ha il suo più grande difetto nel titanismo e nell'ostentata vanità. Del regista, ancor prima che di Brando. Il finale è invece alquanto discutibile dal punto di vista della sceneggiatura.
Senza nulla togliere all'apparato tecnico di prim'ordine, così come quello artistico, è forse proprio il soggetto il punto più debole della pellicola, così forzato nel relegare l'esistenza dei personaggi entro le mura dell'appartamento da risultare falso.
La scena della sodomizzazione rappresenta di fatto una vera violenza sessuale, il che contribuisce a rendere la pellicola particolarmente detestabile e renderla agli occhi del sottoscritto assolutamente sconsigliabile.

Voto: 1/5

-La tragedia di un uomo ridicolo
Italia 1981 - drammatico - 110min.

Il signor Primo Spaggiari (Ugo Tognazzi, Palma d'oro a Cannes per miglior attore) è un imprenditore padano proprietario di un caseificio pieno di debiti. Gli rapiscono il figlio Giovanni. Le indagini della polizia non portano a nulla, mentre due operai, di cui uno (Victor Cavallo) è un prete e l'altra (Laura Morante) è la fidanzata di Giovanni, gli rivelano che sono in contatto con i rapitori, e che possono tenerlo informato del suo stato di salute. Quando il flusso di informazioni si interrompe ed il terzetto teme il peggio per la sorte del ragazzo, Primo decide di occultare la notizia e di racimolare i soldi per pagare un ipotetico riscatto, usandoli poi per salvare il suo caseificio.

Più che un uomo ridicolo, il protagonista è un uomo senza morale, senza qualità, incapace di pensare ad altri fuorché sé stesso. Tolta la recitazione di Tognazzi e degli altri personaggi principali, nonché il "colpo di scena" finale (piuttosto prevedibile, invero), il film non ha molte carte da giocare, tanto che Bertolucci mostra palesemente i suoi limiti di valore, meno evidenti in produzioni più grandi e maestose: riciclando un montaggio ellittico tipico del de-costruttivismo da nouvelle vague evita di dover costruire una sceneggiatura  solida e verosimile; appoggiandosi in tutto e per tutto alla recitazione di Tognazzi, evita inoltre di dotare di particolare approfondimento i personaggi di contorno, dipingendo la moglie come una donna in crisi isterica (dunque priva di psicologia), la ragazza del figlio come una persona insignificante in preda a smanie erotiche (forse il personaggio che più rassomiglia al regista) ed il prete proletario a poco più che una figura accessoria. Persino le musiche di Morricone appaiono un commento superfluo (sarebbe stato meglio senza colonna sonora). Si salva solo una certa atmosfera malinconica creata dalla fotografia di Carlo di Palma, che predilige interni tetri e per gli esterni si concentra su tristi vedute invernali della Bassa.
Un passo falso cui Bertolucci rimedierà rifugiandosi per diversi anni in mega-produzioni estere, con risultati nettamente superiori.

Voto: 2/5

-L'ultimo imperatore
Italia 1988 - storico/biografico - 220min. (Edizione integrale del 1998)

Vita di Aisin-Gioro Pu Yi (1906-1967), ultimo imperatore della Cina: nominato imperatore quando era ancora infante, di fatto non ha mai governato; quando era ancora un ragazzino la Cina divenne una repubblica, ma all'imperatore ed alla sua corte fu permesso di continuare a vivere nella città proibita, avendo come precettore lo scozzese Reginald Johnston 1874-1938). Con l'invasione giapponese e l'arrivo del Kuomingtan a Pechino, Pu Yi deve lasciare definitivamente la sua dimora imperiale, per rifugiarsi con le due mogli a Tientsin, sotto protezione nipponica. Da qui viene proclamato imperatore dello stato fantoccio del Manchukuo, in realtà controllato dal Sol Levante. Finita la guerra viene imprigionato dai russi e consegnao ai comunisti cinesi che lo internano in un campo di rieducazione dal 1950 al 1959. Liberato, vivrà i suoi ultimi anni da uomo qualunque, lavorando a Pechino come giardiniere, e morendo a ridosso dell'inizio della Rivoluzione Culturale.

E' la storia paradossale di un doppio imperatore che non ha mai governato (per lui calza bene il titolo del precedente film di Bertolucci, La tragedia di un uomo ridicolo), ha distrutto la sua famiglia (delle due consorti una è scapapta, l'altra è impazzita), non è mai stato padrone nemmeno della propria vita (vita da recluso nella Città Proibita, vita da burattino nel Manchukuo),  è morto abbandonato da tutti in un paese cui è sempre stato estraneo. E' la storia incredibile di un uomo senza patria, nato per essere sconfitto, prigioniero a vita, avente come unico amico uno scozzese, vessato e punito sia per la sua passività (i cortigiani  della città proibita sono più interessati al loro status e al loro potere che alla persona dell'imperatore) sia per la sua attività (il crimine di collaborazionismo con i giapponesi). Un affresco storico imponente che Bertolucci governa con maestria, coadiuvato da un reparto tecnico e da un cast artistico di prim'ordine.
Qualche limite? L'imprecisione storica di cui è stato accusato (Tiziano Terzani lo tacciò di decorativismo e di propagandismo politico - anche se bisogna ammettere che è palese la disillusione del regista verso la Rivoluzione Culturale, come mostrato nelle ultime battute del film), la colonna sonora che, pur splendida, è presente una scena sì e una no e satura le orecchie dello spettatore, le solite derive perverse dell'autore (qui tenute un po' a bada dalla censura cinese), chiari elementi spuri che aggiungono colore ma tolgono veridicità alla vicenda.
Imperdibile per chiunque ami il cinema.

Voto: 4/5

-Io ballo da sola
Italia/UK/Francia 1996 - commedia - 113min.

Una diciannovenne americana (Liv Tyler) va in una villa nella campagna senese in vacanza, ospite di alcuni amici di famiglia, un gruppo di artisti più o meno eccentrici. Nel suo diario scrive le sue ansie e paure, e sogna di rivedere un ragazzo italiano di cui si era infatuata anni prima, e con il quale vorrebbe perdere la verginità.

Avevo pensato di dare una stella a questo film, ma l'interpretazione di Liv Tyler è buona e salva il film dal baratro più profondo. Questo film orrendo è un'accozzaglia di situazioni da soap opera in cui Bertolucci si aggira attorno alla sua protagonista con lo sguardo famelico di un vecchio arrapato, che se non si occupa di turbamenti erotici in praticamente tutti i suoi film non è contento. Mette qualche personaggio un po' strano in scena, ricorre al montaggio ellittico (il suo classico espediente quando dirige film dal soggetto debole), confeziona un film per compiacere gli occhi stranieri, cioè un film che presenta la versione più stereotipata che si possa fare del Bel Paese, belle vallate immerse in un sole caldo dove si mangia e si discute di massimi sistemi dalla mattina alla sera. E si scopa, ovviamente. Difficile trovare un film più patetico di questo, uno spreco di attori come questo (Jeremy Irons, Rachel Weisz, Joseph Finnies...), ma è Bertolucci e a lui si perdona tutto, è uno dei pochi registi italiani che può permettersi di campare di rendita su film fatti vent'anni fa.
Che tristezza.

Voto: 1,5/5

-The Dreamers
UK/Francia/Italia 2003 - drammatico - 130min.

Parigi 1968. Sulla sfondo dei movimenti di contestazione che man mano divengono sempre più violenti nel corso del film, è la storia di una relazione morbosa che lega due fratelli, Isabelle (Eva Green) e Théo (Louis Garrell), ad uno studente americano che si trova lì per studiare il francese, Matthew (Michael Pitt). Trasferitosi a casa dei due, Matthew assiste sconcertato agli atteggiamenti incestuosi dei fratelli, finché non viene coinvolto anche lui. Rintanandosi nell'appartamento, passano le giornate a parlare di cinema, sesso e politica, mentre fuori la vera rivoluzione avanza e, infine, irrompe con forza nella loro gabbia dorata.

Lo so che si potrebbero fare molte analisi (e sono state fatte) a proposito delle opere d'arte presente nel film e del loro legame con i corpi dei personaggi, oppure sull'uso del citazionismo cinematografico. La verità è che sono analisi inutili, come questo film in effetti. Ci vuole una bella fantasia per trovare qualche significato in The Dreamers, per cui potrebbe valere il giudizio che il dizionario Morandini dà del film Histoire d'O: "offrì a molti spettatori l'alibi culturale (del “buon gusto”) per fare i guardoni a pagamento, ma è un album di immagini patinate animato con uno stile da carosello pubblicitario, un prodotto in linea con l'ideologia capitalistica dominante fondata sull'avere invece che sull'essere."
Sì perché lungi dall'essere un film "di sinistra", è invece un film voyeristico sulla scia del precedente "Io ballo da sola", in cui le manie sessuali di Bertolucci si declinano come al solito nell'esibizione di giovani corpi nudi che copulano. Siccome si vergogna a fare un film pornografico, il regista infiocchetta tutto con lunghe scene dialogiche tra i tre, inutile chiacchiericcio qualunquista sull'arte e sui massimi sistemi, ed un finale drammatico sulla fine dei sogni e la crudezza della realtà. La cosa che rende il film detestabile ovviamente non è la componente erotica, ma tutto ciò che ci sta attorno, un vano tentativo di mascherare ciò che a Bertolucci interessa davvero filmare: il sesso. Un bel pube femminile in primo piano (ed anche un pene, per par condicio), e poi minuti e minuti di dialoghi inconcludenti. Poi qualche altro accoppiamento. E di nuovo dialoghi inconcludenti. Così fino alla fine. Solo l'inizio del film è più interessante, perché ancora non si sa cosa succederà dopo. 
Privo di qualunque guizzo di inventiva, della minima originalità, di qualsivoglia motivazione di fondo per renderlo raccomandabile, è il definitivo declino di un autore che ha avuto lampi di ispirazione ormai decenni fa.


Voto: 1/5

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