sabato 4 giugno 2011

8. Il cinema narrativo classico

Per cinema narrativo classico si intende il cinema hollywoodiano dal 1927 (anno del primo film sonoro) al 1960. Hollywood diventa punto di raccolta di produttori ed autori (molti registi europei fuggono negli USA allo scoppio della WWII), ed è il luogo dove nasce l’idea di cinema come opera d’arte collettiva: il film è il prodotto del lavoro di tante categorie professionali (soggettista, sceneggiatore, fotografo, costumista, scenografo, montatore, mixer, regista) ed il ruolo di supervisore spetta al produttore, che ha il vero potere decisionale su ogni aspetto del film; il modo di produzione influenza quindi profondamente lo stile di una pellicola.
Dopo la crisi del ’29 c’era bisogno di ridare fiducia agli americani e ai valori che avevano sempre contraddistinto la società USA: rapporto di coppia, famiglia, lavoro, collettività e fiducia nelle istituzioni. Anche il cinema era utile allo scopo, perciò si diffuse un modo unitario di fare cinema, il cosddetto “studyo system”, per cui tutte le fasi di produzione del film sono supervisionate dalla casa produttrice; si cercava quindi di realizzare film adatti a qualunque tipo di spettatore, a prescindere da età, reddito e cultura. Ci riuscirono così bene che tali film furono esportati in tutto il mondo (come del resto accade ancora oggi con i cosiddetti “blockbuster” hollywoodiani). Come stile comune si decise di adottare quello narrativo, contraddistinto quindi dal primato dell’azione. Tuttavia ciò non sarebbe stato possibile senza l’avvento del sonoro: grazie a Il cantante di jazz (1927), la parola darà vita a strutture narrative molto più complesse che in passato, con la conseguente nascita (o quantomeno maggior definizione) di molti generi cinematografici. Questo tipo di cinema si fonda su tre principi:
-Leggibilità: le attrazioni sono eliminate, il linguaggio dev’essere più chiaro possibile;
-Gerarchizzazione: all’interno dell’inquadratura ci dev’essere distinzione fra la figura in primo piano e lo sfondo; dev’essere inoltre chiaro il rapporto fra i personaggi (protagonisti-antagonisti-caratteristi);
-Drammatizzazione: forti contrasti di luce, piani e azione servono a far risaltare il contrasto fra bene e male, buoni e cattivi, giustizia e crimine.

8.1 Studio system, Star system e Codice Hays
Il sistema produttivo era nelle mani dell’MPPDA (Motion Pictures Producers and Distributors Association) ovvero le cinque majors (Paramount, MGM, Fox, Warner, RKO)più le minors (Columbia, Universal, United Artists); esse strutturano il cinema in due assi: un’asse orizzontale per quanto riguarda il sistema di produzione (varie figura professionali capeggiate dal produttore) e un’asse verticale per uanto riguarda i metodi di distribuzione: molte sale erano infatti di proprietà delle stesse majors, che quindi facevano anche da ditributori e proiettori. Con le sale indipendenti applicavano il “block-booking”, pacchetti indivisibili di film da noleggiare in blocco, cosicchè in pratica decidevano sempre loro cosa proiettare. Inoltre per fronteggiare le proteste di molte associazioni moralistiche, l’MPPDA assunse l’avvocato William Hays affinchè elaborasse un codice di autocensura interna, in modo da rendere i film adatti a tutti. Il codice Hays (applicato dal 1934) vietava indugi sessuali, glorificazioni del crimine, amori illeciti e sconfitte delle forze dell’ordine.
Prodotto di questo sistema fu anche lo Star system, l’elevazione dell’attore a divo tramite i media. Il loro aspetto veniva plasmato a piacere dalle majors che puntava sull’esaltazione delle loro immagini. Per questo i divi interpretano spesso gli stessi ruoli, divenendo stereotipi, modelli subito riconoscibili. Ciò però comporta che se crolla l’immagine stereotipata, crolla anche il divo-attore, che esso diventi un relitto senza più nulla da dire e finisca dimenticato da tutti. Il film che megli odescrive questo fenomeno è ovviamente Viale del tramonto (1950) di Billy Wilder, che mostra al contempo grandezza ed orrori del divismo.

8.2 L’illusione di realtà
L’illusione di realtà, che poneva lo spettatore al centro del mondo, al posto giusto e al momento giusto, onnipresente, onnisciente ed invisibile, si ottiene con 4 principi fondamentali:
-Continuità narrativa: poggia sulla cosiddetta “inquadratura necessaria” ovvero l’assunto che non ci debbano essere indugi nel flusso narrativo, eliminando quindi il montaggio intellettuale e metaforico; l’eventuale mistero alla base della storia doveva inoltre essere svelato almeno nel finale;
-Trasparenza del linguaggio cinematografico: attrazioni ed effetti speciali in genere sono da evitare, il montaggio dev’essere “invisibile”; non si usano grandangoli nè teleobiettivi; movimenti di macchina e profondità di campo sono ridotti al minimo (solo il musical fa eccezione a queste regole). La recitazione è stereotipizzata ed i dialoghi sono filmati per campi/controcampi.
-Spazio continuo e prospettico: si evita lo scavalcamento di campo. Lo spettatore deve sempre trovarsi nel posto giusto e vedere tutto ciò che è necessario er comprendere gli avvenimenti.
-Linearità temporale: sono permessi eventuali flashback racchiusi in dissolvenze incrociate.
Tutto ciò induce il pubblico a scordarsi della macchina-cinema, per godersi solo la storia. L’esempio perfetto di illusione di realtà è Il grande sonno (1946) di H.Hawks,. Va detto che in sistema così rigidamente standardizzato, le singole impronte autoriali, quando presenti, emergono con ancor più evidenza. Le regole danno ancora più risalto alla loro trasgressione.

8.3 I generi
Un film appartiene ad un genere quando tratta un soggetto più o meno codificato con un tipo di messinscena più o meno codificata. In questo periodo si consolidano vari generi:
-Guerra: si combatte in nome di valori culturali occidentali contro un nemico che li calpesta. I luoghi sono caserme, navi, aerei, campi di battaglia.
-poliziesco/noir: inchieste cittadine in notturna; interni bui, ippodromi, bische.
-Western: epoca dei pionieri con conflitti fra cow-boys, indiani, banditi, pistoleri in spazi desertici con fiumi, montagne, campi lunghi e prevalenza di esterni.
Kolossal: Vicende ambientate nell’antico Egitto o nell’antica Roma, grandi scenografie, scene di massa, uomini in toga e donne in abiti sensuali.
-Melodramma: forti conflitti, fotografia brillante fatta di contrasti cromatici.
-Musical: Scenografie teatrali e virtuosismi tecnici con ampio ricorso alle carrellate.
-Horror: trionfo di effetti speciali e trucchi, produzioni quasi sempre indipendenti.
-Comici: le sedi di tutte le trasgressioni.
Il genere è funzionale alla costruzione di un orizzonte di attese. A partire dagli anni ’50 ci saranno contaminazioni fra i generi sempre più frequentemente. Alcune case di produzione si specializzano in alcuni generi, ad esempio RKO per i musical e Universal per gli horror.
Il genere più longevo e prolifico fu comunque la commedia: negli USA è stat sempre importante, sia per la moralizzazione (come le commedia di “rimatrimonio” degli anni ’10, per educare la gente in un periodo caratterizzato da alti tassi di divorzi) sia per la derisione dei costumi. Pur non essendo del tutto ottimistica, la commedia è il genere che più ridarà fiducia agli americani dopo il ’29.

8.4 Gli autori
In un sistema così preimpostato, gli unici spazi creativi per i registi erano la poetica (tematiche, storie, personaggi) e lo stile; alcuni registi perciò si specializzarono in una certa poetica (ad esempio Ford con l’epica western), altri nell’uso di personali scelte stilistiche che divennero vere e proprie marche d’autore (come Welles che usa sistematicamente la profondità di campo); tre autori fondamentali:
-John Ford: a livello di poetica, i western di Ford sono affreschi storico-mitici riguadranti la fondazione della civiltà americana, ed i punti salienti della sua storia; il western divenne quindi punto di congiunzione del popolo americano, per cui era simbolo di unità nazionale. Facendo film così importanti per la nazione, Ford era libero di trasgredire molto alle regole di Hollywood; poeticamente metteva in luce le criticità e gli aspetti negativi della cultura americana; stilisticamente ricorreva spesso a campi lunghi senza stacchi di montaggio.
-Orson Welles: apertamente ostile allo studio system, rompe sistematicamente l’illusione di realtà con forti suggestioni visive, in cui si riconosce l’influenza dell’espressionismo tedesco. Quarto potere (1941) è innovativo per molti aspetti: la morte del protagonista nella prima scena, la nescienza dell ospettaore, l’uso di piani-sequenza eprofondità di campo per insistere sulle dimensioni dello spazio-tempo, la narrazione non lineare, il primato della cinepresa che risolve il mistero, nel finale. Welles ha uno stile unico debitore di molto cinema precedente, da cui attinge per creare un proprio personalissimo stile.
-Hitchcock: i critici francesi lo eleggeranno a modello per la loro politica degli autori, secondo cui lo stile conta più della poetica; Hitchcock ha comunque una poetica personale, fondata sul fascino del male e la paura/suspance. I suoi film sono costruiti con giochi di punti vista, che alterna oggettività naturale a soggettività paranoica, tutto condito con un sottile humor inglese che aumenta l’ambiguità dell’opera.
Infine c’è la cosiddetta “lingua franca”, quella frangia di autori europei rifugiatisi negli USA allo scoppio della guerra, che portano nel cinema americano una ventata di originalità e personalità autoriale; fra essi sono da ricordare almeno Lubitsch con le sue commedie, Lang con i suoi noir e Sirk con i suoi melodrammi.

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