martedì 6 gennaio 2009

apologia del cinema dell'orrore

Questo è uno scritto risalente al 2007, quando non ne potevo più di ricevere critiche o sguardi commiseratori quando dicevo di amare l'horror. Mi sono reso conto che invece di mandare la gente a quel paese sarebbe stato più utile scrivere i motivi per cui una persona potrebbe apprezzare questo genere, e mi sono accorto che non era così facile trovarli (non perché non ci siano, ma perchè io stesso non ci avevo mai riflettuto). Credo ne sia uscito un intervento interessante, quindi lo metto qui a disposizione di tutti coloro che screditano questo genere magari senza conoscerlo affatto, affinché possano sgombrarsi la testa dai pregiudizi e, perchè no, provare a fare la conoscenza di uno dei più versatili ed interessanti generi cinematografici.

INTRODUZIONE

Sono un ragazzo che frequenta il liceo classico e sono un grande appassionato di cinema. Lo sono fin dalla più tenera età, da quando passavo i pomeriggi a vedere e rivedere Star Wars e Indiana Jones, Batman e i cartoni della Disney.
Col tempo mi sono avvicinato a tutti i generi cinematografici, apprezzando i classici che hanno fatto la storia del cinema (ad esempio Metropolis e M- Il mostro di Dusseldorf di Fritz Lang), e i nuovi prodigi dell’era del digitale e degli effetti speciali computerizzati (Il signore degli anelli, Harry Potter). Mi sono interessato ai classici italiani (Fellini, Bertolucci) e ai più noti nomi stranieri contemporanei, sia nel campo delle commedie (Woody Allen) che in quello di film più ermetici e/o sperimentali (Lynch, Cronenberg), dai surreali più fantasiosi (Tim Burton), alle nuove firme asiatiche (Ki-duk Kim, Chan-wook Park, Miike Takashi), oltre ai più classici (Ozu, Kurosawa, Mizoguchi).

Insomma sono un divoratore di film sempre alla ricerca di nuove scoperte in questo campo di cui, nonostante tutto, non mi ritengo certo un esperto, e cerco di approfondire, per quanto possibile, le mie conoscenze in ogni genere cinematografico.
Non prediligo un genere specifico, guardo ogni tipo di film (purché sia guardabile), e cerco di affrontare ogni nuova visione senza alcun pregiudizio. Trovo infatti che una visione imparziale e un punto di vista non prevenuto siano i requisiti fondamentali per iniziare serenamente a guardare un film. Con questo metodo sono riuscito a godermi alcune pellicole molto più di quanto non credessi di poter fare prima della visione, ragion per cui sono sempre maggiormente convinto che prima di parlare bisogna conoscere, nel cinema così come nella vita.

Fatta questa premessa, sono dispiaciuto di notare come frequentemente ci sia un genere cinematografico che è vittima di questi inutili e stupidi pregiudizi: l’horror.
Troppo spesso ho sentito alcuni genitori (oltre ai miei, ovviamente!) lamentarsi perché i loro figli andavano al cinema a vedere “uno di quei soliti film orrendi pieni di sangue e mostri”.
Troppo spesso ho sentito persone che mi dicevano “Ma come fanno a piacere a te, che guardi le commedie di Woody Allen, dei film orrendi come gli horror?”, questo senza aver mai visto un horror in vita loro.
Troppo spesso ho letto recensioni talmente severe su alcuni film horror in uscita da farmi venire il sospetto che questo accanimento fosse dovuto solo ad un giudizio derivato da una visione disattenta e frettolosa, premurosa unicamente di affibbiare una misera stella di valutazione a quel film solo perché di un certo genere, dando invece giudizi molto più elevati a pellicole che, una volta viste, mi hanno lasciato poco o niente.

Intendiamoci, non intendo assolutamente difendere a spada tratta TUTTI i film horror mai realizzati: anzi, sono il primo a dire che alcuni film dell’orrore sono oscenamente brutti, insensati, inutili, privi di discorso, ripetitivi, banali, o semplicemente noiosissimi. Ma allo stesso modo con cui affermo che, ad esempio, considero Hostel (mi riferisco solo al primo, in quanto il secondo non l’ho visto) una sagra porno-sanguinolenta del cattivo gusto, affermo con altrettanta enfasi che ritengo Kairo di Kiyoshi Kurosawa uno dei film più emozionanti, scioccanti e, soprattutto, importanti dell’intera cinematografia mondiale degli ultimi anni.
Quello che cercherò di fare in queste pagine è tentare di spingere lo spettatore/lettore ad aprirsi alla visione di un genere cinematografico molto interessante, ricchissimo di sfumature e di idee, che costituisce un serbatoio in cui ogni regista può inserire invenzioni sempre nuove, contribuendo ad arricchire sempre più il concetto di “cinema dell’orrore”, un cinema che è il più mutevole, astratto (ma può essere anche molto concreto), persino ermetico alle volte, dell’intero panorama di generi che si sono sviluppati all’interno della Settima Arte e che a mio parere contribuisce a renderla più interessante di anno in anno.



“L’HORROR E’ UN GENERE CINEMATOGRAFICO MINORE!”

Non è mia intenzione tenere in queste pagine una cronaca dello sviluppo del genere horror durante l’intera storia del cinema per diversi motivi: in primo luogo non mi sento abbastanza qualificato per farlo, e inoltre non penso che ciò sia utile al mio scopo, ovvero quello di avvicinare a questo genere lo spettatore che lo osteggia o che per altri motivi non ha mai guardato film dell’orrore.
Quel che però mi preme dire come prima cosa in questo percorso, è che l’horror non dev’essere erroneamente considerato come un genere cinematografico minore, perché in effetti esso è stato , se non il primo, uno dei primi generi che i cineasti hanno scelto di rappresentare sullo schermo. In effetti, come molti sanno, anche non esperti di storia del cinema, dopo le prime riprese di taglio documentaristico dei fratelli Lumière, fra i primi veri e propri film vi sono quelli del “prestigiatore” Meliès, uno su tutti Le Voyage dans la lune, di stampo chiaramente fantascientifico (anche se Meliès aveva già iniziato ad attivarsi molto prima; nel 1896, ad esempio, aveva diretto Le manoir du diable, cortometraggio orrorifico di un paio di minuti di durata).
E fra i primi capolavori del muto, la critica cita all’unanimità il Nosferatu di Murnau.

Questo per dire che il cinema è nato col fantastico ed il surreale, e a mio parere non vi è genere cinematografico migliore dell’horror e della fantascienza per pensare al cinema degli albori.
Ho voluto iniziare da qui per mostrare al lettore come, dopotutto, il genere cinematografico spesso più attaccato e denigrato sia in effetti uno dei pilastri più importanti sui quali si regge la storia della Settima Arte, dai quali hanno solo successivamente preso forma i molti altri generi che tutti conosciamo.
L’importanza dell’horror è quindi significativa nello sviluppo del cinema, e non si può certo ritenerlo un genere minore o di scarsa importanza rispetto agli altri.
Altra osservazione che ritengo importante far notare è che l’horror non è solo il punto di partenza del cinema, bensì è stato il punto di partenza di molti cineasti, alcuni dei quali poi non si sono affatto fossilizzati sul genere ma l’hanno usato come trampolino di lancio nel mondo del cinema, e capire il motivo non è poi molto difficile: questo genere permette una miriade di possibilità diverse in tutte le fasi di creazione del film, prima fra tutte la trama. Le trame dei film horror sono così spesso semplici, ma al tempo stesso stuzzicanti e sbalorditive, perché catapultano un individuo, il più delle volte appartenente al mondo occidentale, industrializzato e materialista, in una realtà che è tutto fuorché normale. Ecco allora un’attrice famosa alle prese con una figlia posseduta dal demonio (L’esorcista), una ragazza che sente provenire dal suo cellulare la sua stessa voce che gli preannuncia la sua stessa morte di lì a breve (The call – Non rispondere), un gruppo di teenagers americani alle prese con un assassino pazzo morto bruciato anni prima che entra nei loro sogni per ucciderli (Nightmare), un gruppo di persone barricate dentro una casa nel disperato tentativo di difendersi da un’orda di zombi famelici (La notte dei morti viventi), una giornalista che assiste al rapido disfacimento del corpo del suo amante scienziato che viene rimpiazzato da un uomo-mosca repellente ma che, nonostante tutto, continua ad amare (La mosca), e l’elenco potrebbe continuare quasi all’infinito.
Con una così vasta gamma di possibilità è ovvio che l’horror si presenti come uno dei generi più appetibili per i nuovi cineasti, perché consente loro di dare libero sfogo alla fantasia e prendere familiarità con la macchina da presa, offrendo spunti per lo studio e l’abbozzo di uno stile registico personale.

Spero che questo primo passo porti il mio lettore all’equiparazione del cinema dell’orrore agli altri generi cinematografici, presupposto importante per iniziare a studiare le caratteristiche di questo genere più approfonditamente.




“I FILM HORROR NON HANNO UN DISCORSO, SONO SOLO UNA SAGRA DI VIOLENZE!”

Eccoci dunque all’aspetto più importante e discusso, ovvero i temi affrontati nel genere horror.
Sicuramente una delle critiche più aspre mosse al genere (che denota l’ignoranza di coloro che lo criticano, i quali evidentemente hanno visto poco o nulla del genere e si improvvisano esperti di cinema) è quella di non avere messaggio, e di avere come unico scopo il provocare disgusto con massicce dosi di sangue e scene di violenza al limite della sopportazione.
Questo è, in molti casi (non in tutti), un errore grossolano che può essere commesso solo da chi parla senza conoscere: evidentemente non hanno visto L’esorcista, o Shining, o Il demone sotto la pelle, tanto per fare pochi, ma significativi esempi.
La verità è che il cinema dell’orrore presenta una tale vastità di temi da rendere difficile poter stilare un elenco che, per quanto preciso, risulterebbe sicuramente incompleto e insoddisfacente. Va anche detto che, essendo un genere che presuppone ontologicamente una lettura al di là della rappresentazione più superficiale delle singole scene che costituiscono la storia e lo svolgersi della pellicola, ma che esige invece una rielaborazione dei fatti, dei personaggi, delle situazioni rappresentate che, in quanto surreali, devono necessariamente rimandare ad un significato altro, che si possa ricondurre alla vita reale, ogni spettatore, in virtù del proprio carattere e delle proprie esperienze, può interpretare una stessa scena in modi molto differenti (ovviamente, più il film è ermetico e meno suscettibile di un’interpretazione immediata, più gli spettatori potranno riscontrare differenze nelle conclusioni a cui giungono al termine della visione della pellicola): se quindi il filo conduttore di un film può essere colto da tutti, sarà comunque facile riscontrare differenze fra le opinioni del pubblico riguardo a singole sequenze, inquadrature e comportamenti dei personaggi. Un esempio lampante per questo discorso può essere il finale di Kairo, talmente spiazzante da lasciare spazio a molteplici interpretazioni; tuttavia, ciò non toglie che i temi principali del film siano facilmente individuabili: isolamento, solitudine, paura del futuro e della tecnologia che allontana quando dovrebbe avvicinare, mancanza di rapporti saldi e sinceri nella società industrializzata (in questo caso il riferimento è al Giappone odierno) che rende l’uomo un automa tanto quanto le macchine che costruisce.

Oltre a questi temi, propri soprattutto degli horror più recenti, vi sono quelli più classici della perdita di individualità nel mondo contemporaneo, con conseguente nascita di caratteri alterati, deformati, sezionati e fatti a pezzi dall’orrore quotidiano di un’apparente società del benessere, nella quale tutti sembrano sguazzare felicemente ma nella quale invece affogano senza possibilità di salvezza. Il più lampante esempio che posso fare a proposito è Non aprite quella porta di Tobe Hooper, una delle pietre miliari dell’horror americano, che ha dettato nuova legge sul modo di rappresentare l’orrore, rendendolo, più fisico, quasi palpabile, e claustrofobico, attanagliante, ma solo apparentemente ingiustificato: la famiglia di folli che rapisce e tortura chiunque sosti nelle vicinanze della loro tenuta nelle campagne texane non è altro che il simbolo di tutte le pulsioni che l’uomo moderno accumula senza riuscire a sfogare, e che si traducono in un collasso psico-fisico che porta, oltre all’annientamento di sé, anche a quello degli altri.

Tuttavia, come mi sono premurato di specificare poc’anzi, questo discorso non vale per tutti i film horror: alcuni in effetti sono totalmente (o quasi) privi di qualunque discorso, ed il loro scopo è proprio quello di intrattenere spaventando.
Questo potrebbe sembrare molto strano per chiunque non sia appassionato del genere, tuttavia la gente non si diverte tutta allo stesso modo: in effetti non a tutti piace il cinema. Contestare il fatto che si può vedere un horror per divertirsi è assurdo, perché alcuni possono preferire questo genere piuttosto che un altro (personalmente, ad esempio, è difficile che riesca a trovare un film comico che mi faccia ridere, a meno che non si tratti di una comicità brillante come nei film di Woody Allen, ma per la maggior parte di essi non si può certo parlare di film puramente comici); la domanda che invece bisognerebbe farsi è: perché l’horror è affascinante per alcune persone? Ma anche qui non si può trovare una risposta che vada bene per tutti, quindi come si può notare non ha nemmeno senso porsi la domanda, ma accettare che si possa considerare la visione di un film horror anche come un semplice svago; d’altro canto anche leggere un libro thriller che parla di un serial killer che uccide le persone e ne asporta l’epidermide facciale (Io uccido, di Giorgio Faletti) lo è, ma stranamente i libri non sono attaccati tanto quanto i film.

“Ma come potrei svagarmi con un film in cui abbondano sangue e morte?” Potrebbe chiedere qualcuno. Come ho già detto, l’horror è il genere cinematografico più fantasioso, perché offre situazioni sempre nuove e sorprendenti: il lasciarsi rapire da una storia surreale, al di là dell’ordinario e del quotidiano è un ottimo metodo di evasione dalla routine di tutti i giorni, che ci porta in una dimensione che è creata dalla fantasia e quindi, per quanto macabra, sempre sorprendente e meravigliosa.




“IO NON POTREI MAI VEDERE UN HORROR: C’E’ TROPPO SANGUE, NON RIESCO A REGGERLO!”

Alle persone che vorrebbero avvicinarsi al genere, ma sono molto impressionabili o non avendo mai visto un horror pensano di non poter reggere ad alcune scene, posso dire che (checché ne dicano coloro che screditano il genere, parlando come sempre senza conoscere) ci sono molti horror, alcuni dei quali davvero molto importanti per la storia del genere e del cinema in generale, che hanno scene di sangue molto contenute, o addirittura non ne hanno proprio. Il lettore che non conosce il campo dell’horror potrà rimanere stupito da questa notizia, perché si è sempre immaginati i film dell’orrore come una sarabanda di sangue e carne. Ciò vale sicuramente per alcuni titoli, ma non per tutti.
Oltre al già citato Kairo ( in cui le scene violente sono ridotte all’osso e in cui la violenza è comunque prevalentemente fuori campo), si possono fare numerosi altri esempi. Uno fra tutti è Rosemary’s baby di Roman Polanski, nel quale non è mai visibile nemmeno una goccia di sangue, se non in una singola, brevissima inquadratura, peraltro di una persona già morta, escludendo quindi il momento effettivo della morte e lasciando la violenza totalmente assente dalla scena, per mostrarne unicamente gli effetti.
In effetti in molti horror la violenza è fuori campo, più che altro suggerita, e ciò che si può vedere sono solo i suoi effetti (esempio chiarificatore: in una scena la vittima è braccata dal mostro/killer; la vittima viene raggiunta; l’avvicinamento dell’assassino è suggerito da suoni, ombre o inquadrature che adottano il suo punto di vista; la vittima urla, si sentono suoni confusi e bagliori rosso sangue, il tutto a grande velocità e con inquadrature confuse; la scena cambia e passa a coloro che scoprono il cadavere della vittima o che, più semplicemente, non la trovano più. Risultato: non si vede il momento della morte cruenta, anche se essa è intuita da chi guarda, e se ne vedono invece le conseguenze).
E’ ovvio, in ogni caso, che la maggior parte degli horror presentano quantitativi di sangue piuttosto corposi, ma ad esso ci si può abituare pian piano attraverso una visione progressiva di film via via più cruenti. A scriverlo, mi rendo perfettamente conto che chi legge si possa domandare stupefatto come faccio a concepire gradevole da guardare, ad esempio, un film che tratta della lotta per la sopravvivenza di una famiglia sperduta nel deserto alle prese con un clan di cannibali famelici intenzionati ad averli a casa loro “per cena” (il riferimento è a Le colline hanno gli occhi di Wes Craven), ma ho già accennato a questo nel capitolo precedente; in ogni caso posso aggiungere che è anche interessante osservare il lavoro degli effetti speciali, computerizzati e non, presenti in queste scene: esse possono non piacere, ma non si può negare che siano (possano) essere davvero ottimamente realizzate!





“VA BENE, MA DA QUI A DIRE CHE L’ESORCISTA E’ IMPORTANTE QUANTO QUARTO POTERE…ANDIAMO!”

Chiarisco che non è mia intenzione fare paragoni fra film per arrivare a dimostrare che gli horror sono i più bei film della storia del cinema, il mio intento è semplicemente di dare una risposta a coloro che screditano l’intero genere conoscendolo poco o per niente. Anche sul piano dell’importanza di un film nel panorama dello sviluppo del linguaggio cinematografico un paragone fra un horror e un film di un altro genere è improponibile: il cinema dell’orrore tratta argomenti che poco interessano altri generi cinematografici invece più simili tra loro, come commedie e tragedie, le quali hanno spesso una elementi dell’altra. Ragion per cui il genere più influenzato dall’horror è in effetti…l’horror stesso! In questo senso, è molto interessante scoprire quali film hanno modificato e/o rinnovato il linguaggio dell’orrore, codificando nuovi tipi di paure e creando così innumerevoli sottogeneri: dallo slasher (stile Scream) in cui le morti sono inferte da un killer per mezzo di armi da taglio, ai cannibal movies (Cannibal Holocaust) celebre filone iperviolento italiano della decade 1970/80, dai rape&revenge (spesso abbreviato in R&R, ad esempio L’ultima casa a sinistra) incentrato sulla vendetta di una vittima che subisce una violenza (per lo più stupri), ai fantahorror lanciati dal magnifico Alien di Ridley Scott, dagli splatter più fisici e truculenti (il cui capostipite è Non aprite quella porta di Tobe Hooper) ai J(apan)horror che puntano più a terrorizzare con luci e ombre che con sangue e frattaglie (Ringu e Ju-on sono i titoli che in particolare hanno rilanciato il genere negli ultimi anni), dai film di mostri degli anni ’50 (anche se il capostipite è probabilmente King Kong) ai nuovi thriller polizieschi (e non) girati alla maniera degli horror, con particolari truculenti e sangue a iosa (ad esempio le serie di Saw e di Hostel), e l’elenco potrebbe continuare. In ogni caso è sempre rischioso cercare di classificare con precisione un film in un genere preciso, ancora di più in un sottogenere; il discorso è ancor più valido per un horror, che può inglobare elementi di commedia, tragedia, fantascienza, comicità grottesca eccetera.
Se quindi un confronto per importanza fra film è tutto sommato superfluo, si possono riconoscere alcuni horror di importanza storica per lo sviluppo del cinema in generale (i già citati Nosferatu di Murnau e L’esorcista di Friedkin ne sono un ottimo esempio).

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