giovedì 20 dicembre 2012

Lee Isaac Chung

-Munyurangabo (2007)
-Lucky Life (2010)
-Abigail Harm (2012) - 2/5

Chung, americano, ha studato biologia a Yale, prima di cambiare campo e dedicarsi alla regia. E' co-fondatore della casa di produzione Almond Tree Films.

In una periferia imprecisata, Abigal (Amanda Plummer) è una donna sola di mezza età che si guadagna da vivere facendo la lettrice per i non vedenti. Bisognosa di amore, scopre da un ladro, penetratole in casa in cerca di un nascondiglio, dell'esistenza di un luogo in cui è possibile incontrare delle entità super-umane (ma di umane fattezze) e legarle per sempre a sè rubando loro un indumento. Così, in un complesso di edifici in rovina, Abigail trova un giovane super-uomo dalle sembianze orientali (Tetsuo Kuramochi) che trasforma nel suo amante appropriandosi del suo cappotto.

Un fiabesco di ambientazione realistica che ha come fulcro tematico la solitudine dell'uomo moderno, solo e spaesato in un mondo in cui le emozioni più autentiche sembrano sparire, ed in cui solo un miracolo può far trovare e provare un amore autentico. Abigail però tenderà a trasformare questa passione in ossessione, con conseguenti ricadute sulla sua stessa personalità. Insomma pare che il sentimento amoroso comporti un qualche tipo di stravolgimento interiore, tuttavia esso risulta utile per imparare a camminare con le proprie gambe. Almeno questo sembra essere il messaggio del film.

Sì perchè non è che si capisca poi molto: il film, girato dall'americano di origine orientale Chung, studente di biologia poi convertitosi alla macchina da presa, sembra proprio riprendere gli stilemi di certo cinema orientale astratto, stilizzato, metaforico e poetico, in particolare del Kim Ki-duk più pacato. Il problema è l'esiguità del materiale narrativo, sufficiente appena per un cortometraggio di 20 minuti, che porta ad una dilatazione dei tempi e dei silenzi difficilmente sostenibile (e pensare che dura solo 80 minuti...sembrano un'eternità!); molto di questo tempo è riempito da primi piani di Abigail, che sono un trionfo di micro-mimica dell'attrice Amanda Plummer, sicuramente bravissima...però!

La telecamera ovviamente è a mano per la maggior parte del tempo, come vuole il cinema indipendente, ormai talmente identificabile da essere diventato canonico come il cinema mainstream. Idem per le musiche: rarefatte e solitarie sonate di pianoforte, atmosferiche certo, ma non particolarmente incisive. E' un peccato perchè uno spunto di per sè originale è stato affossato da troppe scelte poco convincenti. Rimane solo un'impressione generale di mistero, di fascino inesplicabile (la questione del vedere/non vedere...), e proprio per questo poco apprezzabile.

Voto: 2/5
In una periferia imprecisata, Abigal (Amanda Plummer) è una donna sola di mezza età che si guadagna da vivere facendo la lettrice per i non vedenti. Bisognosa di amore, scopre da un ladro, penetratole in casa in cerca di un nascondiglio, dell'esistenza di un luogo in cui è possibile incontrare delle entità super-umane (ma di umane fattezze) e legarle per sempre a sè rubando loro un indumento. Così, in un complesso di edifici in rovina, Abigail trova un giovane super-uomo dalle sembianze orientali (Tetsuo Kuramochi) che trasforma nel suo amante appropriandosi del suo cappotto.

Un fiabesco di ambientazione realistica che ha come fulcro tematico la solitudine dell'uomo moderno, solo e spaesato in un mondo in cui le emozioni più autentiche sembrano sparire, ed in cui solo un miracolo può far trovare e provare un amore autentico. Abigail però tenderà a trasformare questa passione in ossessione, con conseguenti ricadute sulla sua stessa personalità. Insomma pare che il sentimento amoroso comporti un qualche tipo di stravolgimento interiore, tuttavia esso risulta utile per imparare a camminare con le proprie gambe. Almeno questo sembra essere il messaggio del film.
Sì perchè non è che si capisca poi molto: il film, girato dall'americano di origine orientale Chung, studente di biologia poi convertitosi alla macchina da presa, sembra proprio riprendere gli stilemi di certo cinema orientale astratto, stilizzato, metaforico e poetico, in particolare del Kim Ki-duk più pacato. Il problema è l'esiguità del materiale narrativo, sufficiente appena per un cortometraggio di 20 minuti, che porta ad una dilatazione dei tempi e dei silenzi difficilmente sostenibile (e pensare che dura solo 80 minuti...sembrano un'eternità!); molto di questo tempo è riempito da primi piani di Abigail, che sono un trionfo di micro-mimica dell'attrice Amanda Plummer, sicuramente bravissima...però!
La telecamera ovviamente è a mano per la maggior parte del tempo, come vuole il cinema indipendente, ormai talmente identificabile da essere diventato canonico come il cinema mainstream. Idem per le musiche: rarefatte e solitarie sonate di pianoforte, atmosferiche certo, ma non particolarmente incisive. E' un peccato perchè uno spunto di per sè originale è stato affossato da troppe scelte poco convincenti. Rimane solo un'impressione generale di mistero, di fascino inesplicabile (la questione del vedere/non vedere...), e proprio per questo poco apprezzabile.
In una periferia imprecisata, Abigal (Amanda Plummer) è una donna sola di mezza età che si guadagna da vivere facendo la lettrice per i non vedenti. Bisognosa di amore, scopre da un ladro, penetratole in casa in cerca di un nascondiglio, dell'esistenza di un luogo in cui è possibile incontrare delle entità super-umane (ma di umane fattezze) e legarle per sempre a sè rubando loro un indumento. Così, in un complesso di edifici in rovina, Abigail trova un giovane super-uomo dalle sembianze orientali (Tetsuo Kuramochi) che trasforma nel suo amante appropriandosi del suo cappotto.

Un fiabesco di ambientazione realistica che ha come fulcro tematico la solitudine dell'uomo moderno, solo e spaesato in un mondo in cui le emozioni più autentiche sembrano sparire, ed in cui solo un miracolo può far trovare e provare un amore autentico. Abigail però tenderà a trasformare questa passione in ossessione, con conseguenti ricadute sulla sua stessa personalità. Insomma pare che il sentimento amoroso comporti un qualche tipo di stravolgimento interiore, tuttavia esso risulta utile per imparare a camminare con le proprie gambe. Almeno questo sembra essere il messaggio del film.
Sì perchè non è che si capisca poi molto: il film, girato dall'americano di origine orientale Chung, studente di biologia poi convertitosi alla macchina da presa, sembra proprio riprendere gli stilemi di certo cinema orientale astratto, stilizzato, metaforico e poetico, in particolare del Kim Ki-duk più pacato. Il problema è l'esiguità del materiale narrativo, sufficiente appena per un cortometraggio di 20 minuti, che porta ad una dilatazione dei tempi e dei silenzi difficilmente sostenibile (e pensare che dura solo 80 minuti...sembrano un'eternità!); molto di questo tempo è riempito da primi piani di Abigail, che sono un trionfo di micro-mimica dell'attrice Amanda Plummer, sicuramente bravissima...però!
La telecamera ovviamente è a mano per la maggior parte del tempo, come vuole il cinema indipendente, ormai talmente identificabile da essere diventato canonico come il cinema mainstream. Idem per le musiche: rarefatte e solitarie sonate di pianoforte, atmosferiche certo, ma non particolarmente incisive. E' un peccato perchè uno spunto di per sè originale è stato affossato da troppe scelte poco convincenti. Rimane solo un'impressione generale di mistero, di fascino inesplicabile (la questione del vedere/non vedere...), e proprio per questo poco apprezzabile.

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