martedì 6 settembre 2011

Pier Paolo Pasolini

Accattone (1961)
Mamma Roma (1962)
Ro.Go.Pa.G., episodio La ricotta (1963)
La rabbia (1963), sua la regia della prima parte; la seconda è per la regia di Giovannino Guareschi
Comizi d'amore (1964)
Sopralluoghi in Palestina per il Vangelo secondo Matteo (1964)
Il Vangelo secondo Matteo (1964)
Uccellacci e uccellini (1966)
Le streghe, episodio La Terra vista dalla Luna (1967)
Capriccio all'italiana, episodio Che cosa sono le nuvole? (1967)
Edipo re (1967)
Appunti per un film sull'India (1967-1968)
Teorema (1968)
Amore e rabbia, episodio La sequenza del fiore di carta (1968)
Porcile (1968-1969)
Appunti per un'Orestiade africana (1968-1969)
Medea (1969)
Il Decameron (1971)
Le mura di Sana'a (1971)
I racconti di Canterbury (1972)
Il fiore delle Mille e una notte (1974)
Salò o le 120 giornate di Sodoma (1975) - 3,5/5

Pasolini (1922-1975) ha svolto l'attività di regista cinematografico assieme a molte altre, in primis scrittore/poeta, ma anche giornalista, drammaturgo, sceneggiatore ed attore.
Il suo esordio dietro la macchina da presa avviene nel 1961 con Accattone.
Pasolini rifiuta la modernità in toto, la sua è una critica estrema. Per lui la modernità è il male assoluto; questo perché rappresenta l'omologazione, l'appiattimento storico: tutti finiscono per assomigliarsi e l'individualità viene estinta. Esprime la sua forte individualità con il cinema (che è paradossalmente il mezzo della modernità per eccellenza) in quanto considera il cinema "lingua scritta della realtà", ovvero è un medium autoreferenziale.
Il suo stile (che può essere, a seconda dei gusti, anche molto sgradevole) è frontale, ieratico, giottesco.
Ha una prima fase "cristologica", in cui individua la figura salvifica del Messia nei ragazzi di vita, e che culmina ne Il vangelo secondo Matteo (1964).
La seconda fase (separata dalla prima da Uccellacci e uccellini) lo vede rifugiarsi nel mito, in cui ricerca un modello alternativo alla modernità. La tesi è che l'unica zona franca alla mostruosità del moderno sia la sessualità, cosa evidente nella trilogia della vita, film incentrati sull'esaltazione dell'eros (che raggiunge però anche forme ripugnanti). Infine, cambia idea e scrive un'abiura della trilogia, disconoscendo la sua tesi nel suo ultimo, terribile film, Salò.

-Salò o le 120 giornate di Sodoma
Italia 1975 - drammatico - 116min.

Antinferno: nella Repubblica di Salò quattro Signori, rappresentanti di quattro poteri (da quello religioso a quello politico), fanno condurre dai soldati repubblichini dei giovani, figli di partigiani o ribelli loro stessi, in una lussuosa e decadente villa dove potranno disporne a piacimento per centoventi giorni. E' il momento della selezione.
Girone delle manie: ogni giorno i quattro Signori si riuniscono, assieme alle loro vittime, in una vasta sala al centro della quale, con accompagnamento al pianoforte, quattro vecchie meretrici raccontano, una per volta, racconti spinti basati sulle loro esperienze, in modo da solleticare l'appetito dei Signori, che si sfogano sulle vittime, maschi o femmine che siano, nei modi che più li aggrada. E' il momento dell'abuso.
Girone della merda: le vittime sono costrette a trattenere per giorni le proprie deiezioni, che vengono poi servite a tavola in un grottesco banchetto. E' il momento dell'umiliazione.
Girone del sangue: le vittime vengono uccise dai soldati repubblichini sotto gli occhi dei Signori, previe mutilazioni e torture di vario tipo. E' il momento della carneficina.

Con questo film estremo, dalle pretese storiche nulle (il setting è dovuto più che altro all'esigenza di ambientare in qualche modo nel nostro paese il romanzo di De Sade da cui il film è tratto, Le 120 giornate di Sodoma), è come se Pasolini rinnegasse la sua appena conclusa "trilogia della vita" precipitando in un baratro di pessimismo cosmico, che descrive la società moderna come un ingranaggio che violenta e distrugge le persone, annientandone l'umanità e riducendole a bestie. Basti pensare all'opposizione fra la natura, la campagna dove i ragazzi vengono rapiti e la lussuosa ma deprimente architettura dell'interno della villa: è il trionfo dell'artificiale sul naturale. I giovani sono obbligati dal potere a seguire un regolamento cui è impossibile sottrarsi, e che comunque non porta ad altro che alla morte. Ogni speranza sembra morire, ogni possibilità di salvezza obliarsi.
Fra sequestri e guai di vario tipo con la censura, il risultato è che oggi mancano circa una ventina di minuti di girato, ma la pellicola ha ugualmente una forza ed un impatto notevoli, grazie alla freddezza della messa in scena ed all'andamento lento e ritualistico della vicenda.
Pur imperfetto (la recitazione a volte lascia un po' a desiderare, la pellicola va avanti soprattutto a inquadrature fisse, la conclusione frettolosa dà l'impressione che il regista non sapesse bene come concludere, infatti erano stati girati altri due finali) rimane probabilmente il più personale e coraggioso film mai fatto nel nostro paese.
Da vedere.

Voto: 3,5/5

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