mercoledì 27 agosto 2014

Nomad [aka: The Warrior]

regia di Sergej Vladimirovič Bodrov & Ivan Passer - Kazakhstan/Russia 2005 - storico/epico - 112min.

drammatizzazione della vita di Ablai Khan (Kuno Becker), eroe nazionale kazako che contribuì all'unificazione del paese e alla resistenza contro l'invasione degli zungari (tribù mongola) nel XVIII secolo.

Ora anche il Kazakhstan ha la sua epica storica trasposta in pellicola, dopo le recenti incursioni storiche di John Woo e Zhang Yimou o i passati capolavori in costume di Akira Kurosawa, per restare in ambito asiatico. A noi europei mediterranei spesso i paesi dell'Asia centrale paiono distanti e senza storia: ci ricordiamo l'avanzata di Alessandro Magno, l'impero di Gengis Kahn (sì, ma in che secolo precisamente? e quali erano i suoi confini? Io per primo non saprei rispondere con esattezza), il viaggio di Marco Polo, poi il vuoto assoluto per qualche secolo, l'inglobamento nell'URSS e l'indipendenza dei vari stati che finiscono in "stan" nei primi anni '90. Insomma ci sono probabilmente più note storia e cultura dell'estremo oriente (Cina e Giappone) che quelle di Uzbekistan, Tajikistan o, in questo caso, Kazakhstan (o Kazakistan). Per capire la situazione di partenza del film nei primi del '700 basti sapere che nei secoli la disgregazione dell'impero mongolo portò prima alla nascita del Khanato Kazako - ma dopo qualche secolo si verificò sostanzialmente un vuoto di potere nella grande area del Kazakhstan, all'epoca abitato da varie tribù non coese - e che il territorio era ambito da più parti, russi ad ovest (che ne avevano ben donde: frequenti erano infatti le razzie delle tribù kazake nei territori russi confinanti) e tribù mongole ad est, in particolare l'impero nomade degli zungari.
Il film è stato girato in due versioni, una in lingua kazaka e una (qui recensita) in lingua inglese, con regie diverse. La versione anglofona, candidata all'Oscar per Miglior Film Straniero nel 2007, è diretta da Sergej Vladimirovič Bodrov (regista e sceneggiatore già alla prova con Mongol, biopic proprio su Gengis Khan con Tadanobu Asano) e Ivan Passer, regista e sceneggiatore (ha scritto dei film per Milos Forman, che figura qui come produttore esecutivo). Non è difficile rintracciare rimandi ai kolossal americani più recenti: Il Signore Degli Anelli (per i paesaggi mozzafiato e la figura del mentore saggio che richiama Gandalf), Troy e Le Crociate (per l'ambientazione orientaleggiante e l'epica dell'assedio), Il gladiatore (per i combattimenti nellì'arena) e gli altri maestri asiatici citati a inizio recensione. Ma ci sono anche richiami di altro tipo, ad esempio in qualche momento mi ha richiamato alla mente Michele Strogoff o addirittura episodi biblici come la strage degli innocenti nei racconti evangelici. Insomma si tratta di uno zibaldone avvneturoso in cui, fra qualche stereotipo e un piacevole reparto scenografico-costumistico, ci si può fare un minimo di cultura storica ed al contempo godersi un buon prodotto d'intrattenimento. Ciò per cui in particolare raccomando di vedere il film sono i paesaggi, forse i veri protagonisti: lande pianeggianti deserte, laghi cristallini, monti ascetici, conferiscono un'aura sacra ai territori filmati, una bellezza naturale raramente apparsa sullo schermo, un paesaggio spoglio, mistico, mentale seppur molto fisico, mitico. una landa senza punti di riferimento, abitata da tribù nomadi e quindi priva di città vere e proprie (eccettuata la fangosa cittadina di Turkistan, protagonista di una lunga scena d'assedio); proprio il movimento è la caratteristica principale del film: tutti si muovono a cavallo, coprono distanze incalcolabili, le tende dei generali e dei capi tribù sono mobili e trainate da cavalli o schiavi, la regia filma spesso campi lunghi con figure umane che percorrono l'orizzonte: c'è insomma una tensione all'atto, una brama di azione che si sfoga nelle battaglie e nel sangue (la violenza grafica è in realtà abbastanza contenuta se si considera che si parla di guerra).
Consigliato a chi preferisce i racconti per immagini più che per parole. Agli altri invece potrebbero non andar giù i dialoghi monotoni, il plot che procede per luoghi comuni del genere, le musiche enfatiche. Anche la mancanza di un budget non proprio adeguato si sente a tratti, specie nei limiti che il film stesso si pone.

Voto: 3/5

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