sabato 10 settembre 2011

Quentin Tarantino

Le iene (Reservoir Dogs) (1992) - 3/5
Pulp Fiction (1994) - 4/5
Jackie Brown (1997) - 2,5/5
Kill Bill vol. 1 (2003) - 3/5
Kill Bill vol. 2 (2004) - 3,5/5
Grindhouse - A prova di morte (Grindhouse - Death Proof) (2007) - 2,5/5
Bastardi senza gloria (Inglourious Basterds) (2009) - 4/5
Django Unchained (2012)

Tarantino (1963), americano, ha fatto pochissimi film, eppure ha già vinto una Palma d'oro e segnato un'intera generazione di cineasti. La sua cinefilia maniacale gli permette di includere in ogni pellicola decine di citazioni di film conosciuti e sconosciuti, in particolare di b-movies italiani degli anni 70-80. Grande fan di Sergio Leone, ma anche di Miike Takashi, della nouvelle vague francese e di Ruggero Deodato, Tarantino mescola nei suoi film elementi presi dai generi più disparati, anche se la componente violenta o comunque d'azione di solito prevale su tutto. Postmoderno al 100%.

-Le iene
(Reservoir dogs) - USA 1992 - gangster/thiller - 99 min.

In un magazzino che funge da punto di ritrovo per un gruppo di banditi reduci da una rapina finita male (due di loro sono morti, uno è ferito), i superstiti si ritrovano, indecisi se attendere il loro capo o darsela a gambe, e sospettosi della presenza di una spia della polizia nel loro gruppo: nessuno si fida più di nessuno, e le tensioni emergenti dai rapporti conflittuali dei malviventi avrà sanguinose conseguenze.

Esordio formidabile e celeberrimo, la pellicola ha reso immediatamente Tarantino un regista di culto per le giovani generazioni, grazie ad un inedito cocktail di scene di brutalità improvvisa e umorismo macabro, e una sceneggiatura avvincente con colpi di scena a ripetizione. Il film, ambientato quasi interamente nella location semivuota del magazzino, si sviluppa nell'arco di poche ore (anche se comprende alcuni flashback precedenti il colpo) e si concentra sui rapporti tra i vari banditi, rendendo palpabili dubbi, ansie e sospetti reciproci. Fra dialoghi esilaranti e realistici (vero marchio di fabbrica di Tarantino) e sprazzi di iperviolenza (che porta lo spettatore, appena entrato in empatia coi personaggi, a riconoscerli per quello che sono, banditi assassini), la pellicola si distingue per un'ottima fotografia e una grande sapienza nell'occultare le immagini più disturbanti per limitarsi a mostrare le conseguenze delle turpi azioni commesse dai protagonisti (la celebre sequenza del taglio dell'orecchio). La recitazione, sopra le righe, è ottima, specialmente quella di Michael Madsen e Harvey Keitel, ma si distingue anche un ottimo Steve Buscemi. Altro fiore all'occhiello è l'accattivante colonna sonora.

Se c'è un filmmaker che può assurgere a modello di "regista della post-modernità", non vi è dubbio che questi sia Quentin Tarantino. Con Reservoir Dogs lo spettacolo della frammentazione diegetica, dell'uso euforico della citazione, della con-fusione dei generi, del fraudolento saccheggio di topoi dalla storia del cinema di genere è esibito, ostentato e rivendicato.
Chi riscontra dell'iperrealismo in questa pellicola è evidentemente in fallo: nulla potrebbe essere più distante dal reale; basti vedere gli ettolitri di sangue fuoriuscenti dallo stomaco perforato di Tim Roth per rendersene conto.
C'è chi parla di rispetto delle unità aristoteliche riguardo questa pellicola: se decurtiamo Reservoir Dogs di numerosi metri di pellicola, si può condividere. Se invece consideriamo l'opera nella sua totalità, contempleremo una dis-lineraità temporale e spaziale superata solo dalla successiva opera del regista, quel Pulp Fiction che fa della frantumazione diegetica la propria ragione ontologica.
Ma se nel film d'esordio di Tarantino il plot può essere facilmente riordinato secondo una sequenziale concatenazione degli eventi, è il problema gnoseologico a porsi con maggior insistenza, forte della frammentazione dei punti di vista: chi è in grado di indicare quale sia il protagonista del film? Forse Mr. White? O magari Mr. Orange? Perchè non Mr. Blone invece? In un microcosmo all'interno del quale ciascun personaggio è marchiato da un incancellabile sentenza di morte, vi è l'impossibilità di stabilire la minima gerarchia d'importanza fra i vari personaggi, ognuno detenente un tassello del mosaico, un pezzo di verità, una parte imprescindibile del film.
All'eclissi del protagonista (o meglio, alla sua moltplicazione) fa eco l'obliazione dell'eroe: l'unico personaggio che si può definire positivo, ovvero il poliziotto preso in ostaggio, viene freddato dai criminali; il poliziotto infiltrato nella banda perde qualunque coordinata etico-morale, non sapendo più per chi lavora ed in cosa consista la sua missione; Mr. White, l'unico criminale che sembra mostrare un po' di umana compassione, non viene di fatto riscattato dalle sue azioni; le forze di polizia che intervengono nel finale a "risolvere" la situazione vengono relegate nel ben poco nobile fuoricampo. Reservoir Dogs si presenta così come una fenomenologia del male (o comunque dell'assenza del bene); da qui non si deve certo dedurre una tensione registica alla filosofia o all'ammonimento morale: l'intento ludico dell'operazione è conclamato, evidente nella "westernizzazione" della messinscena (ralenti, piani americani, pose da pistoleri, i piani-sequenza), nell'eccitazione scopico-uditiva (il rosso vivo del sangue, la nettezza del bianco e del nero delle uniformi da lavoro dei gangsters, le melodie country-rock della colonna sonora intradiegetica), nelle sequenze dialogiche pseudo-realistiche ( si consideri la sequenza iniziale, con la delirante discussione sul significato della canzone di Madonna "Like a virgin": tale discussione può forse essere plausibile se condotta da un gruppo di amici in vena di sconcezze; ma può essere considerata realistica nel momento in cui è enunciata dalle bocche di un gruppo di spietati e freddi criminali mercenari in procinto di effettuare una rapina in banca?). Ecco che allora appaiono sterili, quando non fuori luogo, riflessioni critiche improntate alla ricerca di significazioni ulteriori all'intento ludico della pellicola: Reservoir Dogs è una geniale operazione di entertainment, magistralmente realizzata a livello tecnico-attoriale e paradigmatica dell'estetica post-moderna.
Voto: 3/5

-Pulp Fiction
USA 1994 - gangster/thriller - 154 min.

"il 2° film di Tarantino (1963) procede sul filo di un'irridente ironia, di un efferato umorismo nero, di una dialettica tra buffonesco e tragico (tra "fun" e funesto) che mettono azioni, gesti e personaggi come tra parentesi, in corsivo, anche quando, come nel torvo episodio della sodomizzazione, questo film divertente e caustico dai dialoghi irresistibili penetra nell'abominio del male." (dal dizionario dei film Morandini)
Questa è un'ottima sintesi di ciò che è Pulp fiction, film unico nel suo genere (l'unico lontanamente comparabile è lo stesso "Le iene", di cui questo film è come la versione più bella e riuscita) sostenuto da una superba sceneggiatura che, realistica ma con una buona componente di assurdità cinematografica, coinvolge, turba, a volte eccede nel trash (appunto l'episodio della sodomizzazione), precipita in scene di violenza efferate e si placa con dialoghi divertenti e sopra le righe ( i migliori di tutta la produzione tarantiniana), ed offre una carrellata di personaggi indimenticabili (il Vincent Vega di John Travolta, Uma Thurman nella parte della moglie del boss, il pugile Butch di Bruce Willis, probabilmente quello più riuscito). Ripresa dello stesso identico tema del precedente ma realizzazione superiore da tutti i punti di vista (recitazione, sceneggiatura, colonna sonora, ambientazioni), il film è indimenticabile e rimane impresso proprio per la sua unicità: non esiste un altro film come Pulp Fiction. il suo limite è forse l'eccessivo compiacimento nel mostrare il sangue, caratteristica che nel precedente era più contenuta e funzionale alla storia, per non parlare delle volgarità verbali pronunciate a iosa per tutto il film. Se parolacce e sangue che schizza non vi spaventano, avete trovato il film che fa per voi. In ogni caso è assolutamente da vedere, è il capolavoro di Tarantino, almeno fino a Bastardi senza gloria .

Voto: 4/5

-Jackie Brown
USA 1997 - poliziesco/thriller - 155 min.

Dopo aver girato un episodio del film a episodi Four rooms (1995), Tarantino torna con un film di due ore e mezza, lento e lineare, senza grandi colpi di scena ma pur sempre con una storia interessante e un finale davvero godibile, incentrato sulla figura di una hostess che fa la trafficante e che riesce a gabbare un pò tutti, polizia e criminali, e a fuggire con i soldi. Se la storia in sè è semplice e avviene senza colpi di scena, sconnessioni temporali o dialoghi accattivanti, è perchè questo film rappresenta il tentativo del regista di mostrare ai suoi detrattori come sia capace, se ci si mette, di fare un thriller canonico, basato più sulla trama che sul montaggio volto alla ricerca dell'effetto scioccante a tutti i costi, e improntato su una recitazione più sottotono rispetto alle pellicole precedenti. Se da un lato il tentativo riesce, dall'altro ci si chiede se valeva proprio la pena di farlo: il film è un thriller come tanti, con una buona trama e bravi attori, ma che non aggiunge veramente nulla di nuovo all'immenso panorama del cinema d'azione hollywoodiano che vanta tra l'altro titoli di fattura maggiore.

Voto: 2,5/5

-Kill Bill vol.1
USA 2003 - azione - 110 min.

Dopo l'insuccesso precedente, Tarantino opta per una summa del suo cinema e una summa del cinema d'azione in generale, rifiutando sistematicamente ogni altro scopo al di fuori dell'intrattenimento audiovisivo in quello che è un colossale miscuglio di film di arti marziali, thriller splatter, anime, azione hollywoodiana, estetica da videoclip e videogioco con tutti gli artifici possibili (bianco e nero, ralenti e velocizzazioni, suddivisione in capitoli con "boss" di fine livello, rifiuto di qualsivoglia realismo) nella prima parte di quello che doveva essere un film unico di oltre tre ore ma che la produzione gli ha imposto di dividere in due parti. Non c'è molto altro in Kill Bill a parte katane che mozzano arti e fiumi di sangue, eppure la tipica capacità tarantiniana di coinvolgere lo spettatore in un mix di generi e trucchi cinematografici lo rende appetitoso non solo per i più sfegatati patiti d'azione. E' un film sicuramente da vedere, con la consapevolezza di assistere a null'altro che la vendetta di una donna nei confronti del suo ex-amante (a capo di un impero criminale) e dei suoi sottoposti, che elimina uno dopo l'altro. Omaggio all'Estremo Oriente come anche il secondo volume (Giappone nel primo, Cina nel secondo), è la celebrazione del cinema tarantiniano portato ai suoi limiti più estremi. La colonna sonora, come al solito, è formidabile.

Voto: 3/5

-Kill Bill vol.2
USA 2004 - azione - 110 min.

Conclusione del precedente, che vede la protagonista finalmente faccia a faccia con Bill in un finale sorprendentemente impostato sul dialogo e non sull'azione, ricco di sequenze memorabili (l'uscita dalla tomba, l'addestramento in Cina, il confronto finale), questo secondo volume, più incentrato sulla psicologia dei personaggi che sull'azione (che comunque non manca) è sicuramente superiore al precedente, diventuando quasi intellettualoide da metà in poi. Il film propone un'ottima recitazione di Uma Thurman (che grazie a questa saga è ormai ascesa all'Olimpo del cinema d'azione) che si conferma ottima attrice, la solita colonna sonora di pregio, una fotografia superba (come del resto anche nel primo episodio), e prende una piega più intimista e riflessiva, grazie a cui appaiono anche alcuni spunti di riflessione sulla vita e la morte, l'autenticità e la falsità (vedi il monologo di Bill su Superman e Clark Kent). Un film irrinunciabile per chi ha visto il primo e godibile anche da coloro che non sono patiti del cinema d'azione, per la sua alternanza di tempi lenti e sequenze di combattimento avvincenti. Come al solito è un film tarantiniano al 100%.

Voto: 3,5/5

-Grindhouse: a prova di morte
(Grindhouse - Death proof) - di Quentin Tarantino - USA 2007 - horror/thriller - 116 min.

Quando si parla di Quentin Tarantino, pubblico e critica si spacca sempre in due: gli estimatori (fra i quali ci sono io) e i critici.
Il conflitto probabilmente non si sanerà mai per un semplice motivo: quando si guarda un film di Tarantino, si finisce sempre col chiedersi "non capisco se sia un capolavoro o una cazzata madornale!" "Non so se classificare Tarantino fra i geni o gli imbecilli", e si sentono dialoghi del tipo: "Ma Tarantino fa sempre film del cazzo, è un idiota! "Ma cosa dici? E' un grande, come fanno a non piacerti i suoi film? E' un mito!".
Questo perchè il cinema di Tarantino è una summa di generi, citazioni e tecniche cinematografiche che non permettono di catalogare le sue opere con precisione in uno specifico genere cinematografico. Sono commedie nere, action-movie, thriller con inflessioni grottesche ed ironiche, ma questi aggettivi non sono comunque sufficienti a dare un'idea di quello che sono i suoi film: bisogna vederli e farsi un'opinione.
Detto questo, per presentare questo film bisogna premettere il motivo che ne giustifica la creazione.
In origine, Tarantino si accorda col regista Rodriguez per creare un film in due episodi (Planet Terror di Rodriguez e, appunto, Death Proof di Tarantino); questi due episodi, che vogliono rimarcare lo stile dei filmetti thriller-orrorifici-erotici degli anni 70-80, realizzati con mezzi poverissimi e pellicole rovinate e consumate, danno vita a Grindhouse (le grindhouses erano appunto quei cinemacci di serie b dove si proiettavano questi film "caserecci", a due o tre alla volta, per tutta la notte; postacci mezzo diroccati in cui ci si andava a "divertire", insomma). Per ricalcare quello spirito, dunque, i registi rovinano apposta le pellicole, motivo per cui durante il film ogni tanto salta l'immagine, il suono si inceppa eccetera, proprio come avveniva all'epoca nelle grindhouses. Tuttavia il progetto in America non fa successo e raccoglie magri incassi, perciò Tarantino pensa bene di allungare il suo Death Proof e distribuirlo come film unico in Europa.
Che dire, viene voglia di vedere il Grindhouse originale, con anche il segmento di Rodriguez, per avere ancor più la sensazione di essere catapultati indietro nel tempo. In effetti avendo allungato il film, questo presenta parti un pò inutili, parti un pò troppo lunghe, parti piuttosto noiose. Tuttavia lo stile tarantiniano emerge evidentemente anche in questa pellicola, quindi i fan più accaniti troveranno pane per i loro denti. Certo, bisogna conoscere l'antefatto sull'origine di questo film, altrimenti chi va a vederlo senza sapere nulla non capisce il perchè delle frequenti "bizze" della pellicola che salta, si riavvolge eccetera.
Per quanto riguarda la trama, dovendo ricalcare lo spirito di quei film, è giustamente una cazzata: Stuntman Mike è un pazzo che abborda giovani ragazze per farle fuori con la sua macchina "a prova di morte", finchè un gruppo di ragazze decide di fargliela pagare cara.
Fine della storia: non è niente più di questo perchè non vuole esserlo.
Per questo motivo è così difficile valutare il film: in sè è una stronzata, ma Tarantino è arrivato intenzionalemente a questo risultato con la sua maestria registica. Insomma, a farlo apposta, non è mica facile realizzare un film del cavolo!!!
Quando sono andato a vederlo, tuttavia, l'effetto che ha suscitato negli spettatori in sala è stato proprio lo stesso che probabilmente si sarebbe potuto vedere nelle vecchie grindhouses: la gente faceva il tifo per le ragazze o per il killer, si incitava e si applaudiva, si rideva sonoramente alle battute e si restava pietrificati davanti ad una delle scene più sensuali che abbia mai visto in un film, ovvero la lap-dance di una delle protagoniste, girata con una maestria che può avere solo un gran regista.
In conclusione alcuni lo troveranno un capolavoro, altri una scemenza, ma per Tarantino è sempre così quindi non c'è da meravigliarsi.

Voto: 2,5/5

-Bastardi senza gloria
(Inglorious Basterds) di Quentin Tarantino - USA 2009 - Guerra - 146min.

Nella Francia occupata dalle truppe di Hitler si intrecciano le vicende di diversi personaggi: l'ufficiale delle SS Hans Landa (Christoph Waltz, Palma d'oro a Cannes come miglior attore), soprannominato "il cacciatore di ebrei", il cui unico obiettivo, ancor prima del successo del reich, è la realizzazione personale; astuto, intelligentissimo, spietato. Shosanna Dreyfus (Mélanie Laurent), ebrea, scampata da piccola ad un raid nazista operato proprio dalla squadra di Landa, la quale gestisce un cinema a Parigi sotto falsa identità; fredda e determinata. Una squadra di soldati ebrei americani, capitanata da Aldo Raine (Brad Pitt), famosi come "i bastardi", aventi come unico obiettivo lo sterminio di quanti più nazi possibile, cui va levato lo scalpo. Al centro della vicenda un cinema ed un film da proiettare, "Orgoglio della nazione", film di propaganda prodotto da Goebbels incentrato sulle gesta eroiche del soldato Friederich Zoller (Daniel Bruhl), che ha resistito da solo, su una torre campanaria, ad un plotone di marines. Tutte le vicende si incrociano nel finale, ovvero la prima cinematografica della pellicola, alla presenza del Fuhrer in persona.

Capolavoro di tecnica, sceneggiatura, recitazione, colonna sonora, scenografia, costumi, è uno dei grandi film del decennio: il miglior risultato di Tarantino che continua imperterrito, con un successo dopo l'altro, il suo percorso di riuso e mescolamento di generi e citazioni che lo rendono uno dei registi più originali del cinema contemporaneo. Ritmo impeccabile per una vicenda assolutamente fantasiosa e avvincente, anche per la sfacciataggine con cui si riscrive deliberatamente la Storia; anche in questo film Tarantino dà prova del suo talento nella costruzione di lunghe sequenze dialogiche che descrivono efficacemente le personalità in scena. Si raccomanda la visione non doppiata, per apprezzare la varietà linguistica (si parla tedesco, inglese, italiano e francese) che costituisce uno dei tanti punti di forza del film.
Imperdibile.

Voto: 4/5

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