martedì 16 agosto 2011

William Friedkin

Good Times (1967)
Quella notte inventarono lo spogliarello (The Night They Raided Minsky's) (1968)
Festa di compleanno (The Birthday Party) (1968)
Festa per il compleanno del caro amico Harold (The Boys in the Band) (1970)
Il braccio violento della legge (The French Connection) (1971) - 4/5
L'esorcista (The Exorcist) (1973) - 4,5/5
Il salario della paura (Sorcerer) (1977)
Pollice da scasso (The Brink's Job) (1978)
Cruising (1980)
L'affare del secolo (Deal of the Century) (1983)
Vivere e morire a Los Angeles (To Live and Die in L.A.) (1985) - 3,5/5
Assassino senza colpa? (Rampage) (1987)
C.A.T. Squad (1988)
L'albero del male (The Guardian) (1990)
Blue Chips - Basta vincere (Blue Chips) (1994)
Jade (1995)
La parola ai giurati (1997)
Regole d'onore (Rules of Engagement) (2000)
The Hunted - La preda (The Hunted) (2003)
Serpentine (2005)
Bug - La paranoia è contagiosa (Bug) (2006)
Killer Joe (2011) - 3,5/5

Friedkin (1939), americano, è sempre stato un po' sottovalutato, o quantomeno poco considerato nel panorama dei grandi registi americani, puravendo realizzato dei veri e propri capolavori del cinema di genere (e non solo). Sebbene da circa un ventennio di dedichi più al teatro che al cinema (come regista di opere), nel suo periodo d'oro ('70-'85) ha realizzato film di grande impatto, che hanno influenzato molto cinema successivo, non solo per l'horror post-Esorcista, ma anche per film quali Il braccio violento della legge, e Vivere e morire a Los Angeles, due esempi mirabili di poliziesco violento.

-Il braccio violento della legge
USA 1971 - poliziesco - 100min.

Girato nello stile spiccio del Friedkin degli esordi, è un poliziesco memorabile, fulgido esempio di cosa fosse il cinema della New Hollywood, sorta di Nouvelle Vague americana sulla scia dell'autorismo europeo del decennio precedente, che per mezzo di autori nuovi e produzioni indipendenti rinnovò il linguaggio filmico di una Hollywood ingessata negli stilemi del cinema classico. Maestro del cinema d'azione violenta ed iperrealista, Friedkin mette in scena una classica storia di investigazione di due poliziotti di Brooklyn, sulle tracce di un narcotrafficante francese, costruendo scene di pedinamento, inseguimento, scontri a fuoco che hanno un dinamismo fino ad allora mai visto: con una regia che usa la camera a mano in modo adrenalinico e con un montaggio frenetico che opera una spaesamento visivo/sonoro (per esempio operando una voice over dei due poliziotti che parlano mentre si inquadra altro, o passando repentinamente dal giorno alla notte) Friedkin elabora un linguaggio che verrà ripreso e canonizzato di lì a poco da molti altri maestri americani coevi, Scorsese tra tutti.
L'andamento insolito della narrazione, così disassemblata rispetto alle regole del cinema classico, trova il suo complemento nella colonna sonora jazz, perfettamente calzante.
Cast magnetico, con un Gene Hackman sregolato come Dirty Harry, che dà la caccia a Fernando Rey, nell'insolta parte del cattivo (con che classe!).
Tante scene memorabili, dall'inseguimento auto-metro all'interrogatorio nel bar, fino al tetro finale che defenestra il concetto di happy ending.
Da vedere.

Voto: 4/5

-L'esorcista - versione integrale
(The exorcist) - di William Friedkin - USA 1973 - horror - 120 min.

Integrale o no non cambia molto (si tratta di una decina di minuti in più o in meno, a seconda delle versioni); qui siamo di fronte ad una pietra miliare nella storia della cinematografia dell'orrore.

Georgetown, America. in questo secolo la fede è scomparsa, non c'è più nemmeno nei preti (è il caso di padre Karras, prete psichiatra con madre malata a carico, che sente di aver perso la sua credenza religiosa), ed una famosa attrice atea divide il tempo fra il lavoro, il telefono e la figlia Regan (Linda Blair). Bene, semplicemente, un giorno, il diavolo si introduce nel corpo della piccola, che comincia a manifestare atteggiamenti sempre più strani ed inquietanti. La madre le prova tutte, psichiatri, psicologi eccetera, mentre le metamorfosi della figlia si fanno sempre più scioccanti. Ad un certo punto sono gli stessi medici che le consigliano di rivolgersi ad un prete esorcista. Ovviamente la madre all'inizio si rifiuta scandalizzata, ma in seguito alle sempre più orribili metamorfosi della bambina cede e chiede un incontro con padre Karras. Dopo qualche incontro con Regan, Karras decide di autorizzare l'esorcismo. Allo scopo viene richiamato un vecchio esorcista (un intensissimo Max Von Sydow) per liberarla col supporto di padre Karras.

La trama non è nulla di particolarmente elaborato, ma gli argomenti trattati sono talmente scottanti (anche per la violenza visiva con cui vengono espressi) e i momenti di paura talmente ben congeniati da lasciare stupefatto lo spettatore oggi come all'epoca della sua uscita nelle sale. Da sottolineare poi come tutte le letture interpretative della possessione della ragazza che sono state fatte in chiave psciologica e sociologica (perdita di valori della società odierna, incomunicabilità genitori/figli, critica della famiglia disfunzionale e chi più ne ha...) lasciano il tempo che trovano: secondo W.P.Blatty, scrittore del romanzo e sceneggiatore del film, il diavolo è proprio il diavolo, non c'è nessuna metafora da leggere (nel libro per la verità si specifica che si tratta del demone Pazuzu, rappresentato dalla statua che vede nelle prime scene del film, ma il concetto non cambia). L'intenzione era quella di fare un film "religioso" o meglio sulla mancanza di fede nella società contemporanea (Blatty è cattolico, di formazione gesuita, Friedkin è un agnostico che ha ricevuto un educazione ebraica e si dichiara estimatore degli insegnamenti di Gesù), infatti qualcuno se ne è accorto: Pauline Kael lo definì "La più grande pubblicità pro-cattolica dai tempi di Le campane di Santa Maria (1945)".
E poi ovviamente, c'è l'aspetto della paura: assolutamente fantastico, sicuramente fra i più inquietanti horror mai realizzati, anche se il più accanito divoratore di splatter del 2000 potrà non scandalizzarsi più di tanto. Da notare che per creare un vero terrore nello spettatore,  Friedkin inserì nella pellicola dei fotogrammi singoli di volti demoniaci, i quali appaiono per poche frazioni di secondo durante le scene del film, cosicchè lo spettatore si chiede se quel che ha visto è vero o se l'è immaginato (inoltre non tutti sono visibili, alcuni infatti girano a tale velocità che il cervello li elabora solo inconsciamente; per questo si può parlare di veri messaggi subliminali). In tutto il film si crea perciò un senso di angoscia, di stranezza che non ci si riesce a spiegare, e se si unisce ciò ad una splendida scenografia ed una prova attoriale molto valida, si ottiene un prodotto di prim'ordine. In conclusione, per il livello stilistico, per le tematiche e per come sono trattate, e per la paura creata, e perchè sono un fan del genere lo considero un capolavoro.

Voto: 4,5/5

-Vivere e morire a Los Angeles
USA 1985 - poliziesco - 116min.

Quando un vecchio buddy vicino alla pensione viene accoppato, il buddy giovane giura vendetta e, in compagnia di un nuovo buddy inesperto, dà la caccia ad un falsario responsabile dell'omicidio.

Memorabile poliziesco violento, ritmo infallibile e nichilsimo estremo (anche nel finale amarissimo): vivere a L.A. significa corteggiare la morte ogni secondo, e morire a L.A. significa fare una bruttissima fine. Per non morire bisogna giocare sporco, ed è proprio ciò che fanno i due protagonisti, contravvenendo a qualunque regola morale o legislativa per incastrare il cattivo. Una lezione di regia per qualunque aspirante regista: ogni movimento di macchina possibile viene usato (e nessuno a sproposito), ogni tipo di montaggio (dal forsennato al rilassato) è presente, per comporre scene dialogiche alternate a sparatorie ravvicinate o inseguimenti d'auto (quello nei docks dismessi con guida in contromano nel finale è uno dei più riusciti della storia del cinema). Tutto perfetto, non fosse per la classicità dell'impianto narrativo, figlio di decenni di noir classico.
Colonna sonora che più anni '80 di così si muore.

Voto: 3,5/5

-Killer Joe
USA 2011 - drammatico/grottesco/commedia nera - 102min.

In un paesino del Texas vive una famiglia disfunzionale: Chris (Emile Hirsch) è uno spacciatore, la cui madre gli ha sottratto la roba e buttato fuori di casa, lasciandolo senza un soldo e con un problema di debiti da saldare, pena la morte. Per risolvere il problema Chris si rivolge a suo padre Ansel (Thomas Haden Church), saldatore, che nel frattempo si è risposato con la cameriera Sharla (Gina Gershon), con la quale convive assieme alla figlia di primo letto (e quindi sorellina di Chris) Dottie (Juno Temple), ragazzina solo apparentemente ritardata affetta da sonnambulismo. Chris propone ad Ansel di far fuori la madre/ex moglie ed intascare i soldi dell'assicurazione, 50.000 dollari, per poi spartirseli in parti uguali, una volta tolto il compenso per il sicario. Costui sarebbe un tale di cui Chris ha sentito parlare, il poliziotto di Dallas Joe Cooper (Matthew McConaughey), che per arrotondare fa il killer a pagamento. Tuttavia Joe desidera essere pagato in anticipo; di fronte all'impossibilità di esaudirlo, chiede come "caparra" le prestazioni sessuali di Dottie.
Così, mentre procedono i preparativi per l'omocidio, Chris è sempre più in pericolo, i rapporti famigliari sempre più tesi, ed il legame fra Joe e Dottie sempre più profondo, il tutto con conseguenze imprevedibili.

Mentre guardavo il film mi sono venute in mente varie pellicole più o meno recenti, che di sicuro sono state un riferimento più o meno importante per la realizzazione di questo film: Non è un paese per vecchi (dei fratelli Coen, 2007) per la desolazione dei paesaggi e la descrizione di vite miserabili dell'America profonda e violenta; Bastardi senza gloria (di Tarantino, 2009) per la lunga sequenza finale di impostazione teatrale (il film è un adattamento del dramma omonimo di Tracy Letts, artefice della sceneggiatura) che rimanda alla sequenza del mexican standoff alla taverna; in generale tutta quella tradizione molto variegata di film americani (dall'horror di Tobe Hooper Non aprite quella porta, 1974, al drammatico/neorealista La fuga di Martha di Sean Durkin, 2011) incentrata sulla descrizione delle comunità rurali o comunque lontane dalle zone costiere come gente infìda, meschina, piena di odi reciproci e senza legge. Inserendosi in questo filone tematico William Friedkin, regista che non ha mai ottenuto i grandi livelli di notorietà o apprezzamento che gli spetterebbero (sebbene abbia diretto alcune delle pellicole più importanti della New Hollywood, tra cui bisogna citare almeno L'esorcista, Cruising, Il braccio violento della legge e Vivere e morire a Los Angeles), probabilmetne perchè poco accomodante circa i temi trattati nei suoi film, gioca sorprendentemente la carta dello humor nero, così da rendere questa pellicola, violenta e nichilista, anche divertente e bizzarra.

I personaggi sono un concentrato di negatività umana (a parte Dottie, ragazzina angelicata vittima delle circostanze), tuttavia sono a loro modo simpatici; la loro malvagità (ma forse è meglio chiamarla amoralità) è infatti una diretta conseguenza del mondo in cui vivono, un mondo che li ha lasciati a loro stessi in una vita senza prospettive. Così è assai spassoso sentire Chris, criminale di professione, lamentarsi del fatto che i texani siano tutti contadini bifolchi, oppure vedere il sicario Joe prodigarsi in attenzioni verso la giovane Dottie. Persino i momenti più drammatici sono raffreddati da battute fulminanti o evoluzioni grottesche degli eventi che riescono sempre a strappare un sorriso (malgrado l'abominio di quanto si stia verificando sullo schermo). Forse troppo programmatico nel suo pessimismo cosmico, Killer Joe riesce sicuramente a farci riflettere sulla condizione umana, resa spesso penosa dagli stessi uomini. Se il risultato finale è così efficace, lo si deve in larga parte, oltre alla perfetta regia di Friedkin, sagace nel dosaggio dei tempi e nell'oscillazione dei registri, ad un cast che è uno dei migliori degli ultimi tempi in fatto di produzioni americane: tralasciando i più rodati Hirsch e McConaughey, delle cui buone capacità già si sa, sono rimasto elettrizzato dalla performance di Thomas Haden Church (qualcuno se lo ricorderà nel ruolo non memorabile di Sandman in Spider Man 3) il quale, penso anche grazie al fatto che è davvero texano, è riuscito ad infondere un senso di verità al suo personaggio che ha per me dell'incredibile: la sua aria costantemente derelitta ed i suoi modi scorbutici lo rendono il più simpatico del lotto, senza contare la sua ineccepibile dote per i tempi comici; fosse per me avrebbe già vinto l'Oscar.

La sceneggiatura non si risparmia in colpi di scena a ripetizione accumulati nel finale, la cui unica pecca è forse quella della sospensione: sebbene sia una chiusa riuscita, avrei preferito una conclusione più netta, perchè tendo a vedere questi finali sospesi come un'indecisione registica. Questo rimane però uno dei pochi difetti della pellicola, fra i quali come ho già detto si può contare una certa referenzialità a pellicole (o topoi) precedenti, e qualche linea di dialogo accessoria. Difetti minori, comunque. Killer Joe è un film che raccomando, personalmente lo reputo uno dei migliori di questa annata 2012 (un anno di ritardo fra presentazione ai festival e distribuzione nelle sale).

Elenco Film (ordine alfabetico)

Elenco registi - cercate velocemente con Cntrl-F o Cmd-F