Il sostituto (Coup de tête) (1978)
La guerra del fuoco (La guerre du feu) (1981)
Il nome della rosa (Der Name der Rose) (1986)
L'orso (L'Ours) (1988)
L'amante (L'amant) (1992)
Les Ailes du courage (1995)
Sette anni in Tibet (Seven Years In Tibet) (1997)
Il nemico alle porte (Enemy at the Gates) (2001)
Due fratelli (Two Brothers) (2004)
Sa Majesté Minor (2007)
Il principe del deserto (Black Gold) (2011) - 3/5
Annaud (1943), francese, è noto per i suoi lavori concilianti impegno e spettacolo. Dopo aver studiato all'École technique de photographie et de cinéma di Parigi e all'Institut des hautes études cinématographiques (IDHEC), ha iniziato a lavorare come pubblicitario. Già dal suo primo film, oscar per miglior film straniero, mostra la sua predilezione per i luoghi esotici, ripresi in molti suoi film.
-Il principe del deserto
Francia/Italia/Qatar 2011 - avventura/storico - 130min.
Penisola arabica, inizio '900. Due capitribù si incontrano in mezzo ad un campo di battaglia: Amar (Mark Strong) deve accettare le condizioni di resa, avendo perso lo scontro, ovvero la proclamazione della Striscia Gialla (il territorio conteso tra i due) come territorio neutrale, zona cuscinetto fra i dominii dei due. A garanzia del rispetto del patto, Amar deve consegnare al rivale Nesib (Antonio Banderas) i suoi due figli, Saleeh e Auda, che verranno cresciuti dal nemico.
Anni dopo, Un gruppo di rappresentanti di compagnie petrolifere texane annunciano a Nesib di aver scoperto il petrolio nella Striscia Gialla, e di voler contrattare con lui per lo sfruttamento: come assicurarsi le risorse della zona neutrale senza violare il patto siglato anni prima? I due fratelli possono essere lo strumento giusto; ma le cose non vanno come dovrebbero.
Tratto dal romanzo “Paese dalle ombre lunghe” (1957) dell'italo-svizzero Hans Ruesch (1913-2007), l'undicesimo lungometraggio di Jean-Jacques Annaud è un epica storica che è impossibile non raffrontare a Lawrence d'Arabia, più per la scarsa quantità di film epici di ambientazione araba che per il concept di fondo, molto diverso. Ma la traversata del deserto e le imponenti scene di battaglia richiamano per forza alla mente il film di David Lean, che rimane insuperato per grandiosità dell'affresco sociopolitico.
Ciò non toglie nulla al lavoro più che apprezzabile svolto da Annaud assieme al produttore Tarak Ben Ammar, ideatore del progetto. L'opera si concentra sulle psicologie dei protagonisti e sulla evoluzione delle stesse: Auda, il protagonista della storia, passa dalla personalità schiva e timorosa a quella coraggiosa del combattente con convincente progressione, e non è che una delle numerose figure i cui comportamenti si modificheranno nel corso della lunga vicenda.
Tutto senza trascurare l'aspetto avventuroso tipicamente romanzesco né l'aspirazione al resoconto storico di un mondo teocratico che si trova improvvisamente a dover fare i conti con i concetti più terreni di “economia, mercato, profitto”: il mondo industriale che avanza e che gli arabi dell'epoca faticano a capire, continuando a questionare sul significato delle sure del Corano, la lotta per il mantenimento della propria identità in un mondo che cambia inesorabilmente, in bilico fra convivenza pacifica e scontro di civiltà. Temi caria ad Annaud, che li ha già affrontati in Sette anni in Tibet, L'amante e persino nel suo film d'esordio Bianco e nero a colori, Oscar per miglior film straniero 1977.
Purtroppo questo anelare alla grandiosità ha prodotto alcuni difetti: la scelta del cast per esempio, lungi dal provocare deficienze qualitative, lasciano un po' perplessi riguardo la provenienza: perchè far interpretare il ruolo di una principessa araba a Freida Pinto che, pur splendida, è indiana? Anche Banderas appare fuori posto, ma la sua interpretazione è notevole. Inoltre alcune lungaggini potevano essere tagliate. Encomiabile invece il rifiuto di usare effetti speciali computerizzati, conferendo al film la giusta dose di realismo e verosimiglianza.
Dipanandosi attraverso vari anni e districandosi fra personaggi di provenienze e proponimenti svariati, il regista è riuscito nella difficile impresa di coniugare assieme potenza narrativa, coerenza logica, rispetto del contesto storico (grande il lavoro di ricostruzione ambientale, con centinaia di costumi e riproduzioni di armi da guerra), analisi socio-politico-culturale, ottenendo come risultato un film che parla dell'Oriente fatto per essere visto ed apprezzato dall'Occidente.
Sciocco il titolo italiano (l'originale è Or Noir).
Voto: 3/5
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