domenica 11 settembre 2011

Ming-Liang Tsai

All the Corners of the World (1989) (TV)
Xiao hai (1991) - mediometraggio
Rebels of Neon God (Qing shao nian nuo zha) (1992)
Vive L'Amour (Ai qing wan sui) (1994)
Wo xin renshi de pengyou (1995) (TV) - mediometraggio
Il fiume (He liu) (1997) - 3/5
The Hole - Il buco (Dong) (1998)
Che ora è laggiù? (Ni na bian ji dian) (2001)
Tian qiao bu jian le (2002) - cortometraggio
Goodbye Dragon Inn (Bu san) (2003) - 4/5
Il gusto dell'anguria (Tian bian yi duo yun) (2005)
Hei yan quan (2006)
Chacun son cinéma (2007) - episodio It's a Dream
Visage (2009)

Tsai (1957), malese, ha studiato a Taipei per poi iniziare la sua attività ad Hong Kong. I premi vinti dai suoi primi lungometraggi (premio per miglior film a Torino, Leone d'oro a Venezia, Orso d'argento a Berlino) lo portano subito all'attenzione internazionale. Contraddistinto dal caratteristico inserto di sketch musicali all'interno dei suoi film (prevalentemente lenti e silenziosi), Tsai filma spesso storie di disperata solitudine nell'estremo oriente contemporaneo. Se Chion lamenta il fatto che la traccia dialogica al cinema prevale sempre su quella musico-ambientale, i film di Tsai lo smentiscono: difficile vedere pellicole dai dialoghi più scarni di queste.

-Il fiume
(He Liu) di Ming-liang Tsai - Taiwan 1996 - drammatico - 112min.

A Taipei è ritratta una famiglia disfunzionale: madre e padre separati in casa, (lei con un amante, lui che ricorre a scappatelle in saune gay) figlio che vive in una condizione di vuoto sentimentale ed esistenziale, costretto a letto a seguito di una caduta dalla moto.

Ritratto di un malessere che colpisce l'odierno Oriente come l'odierno Occidente. Fotografia di un disagio, di un vivere galleggiando nell'incertezza e nell'apatia, nell'inerzia senza speranza in un futuro. Film sotto il segno dell'acqua, mette in scena persone che vivono senza obiettivi, corpi in balìa della corrente. Fedele al suo stile, Tsai predilige i tempi lenti, i silenzi, la telecamera fissa, il quotidiano, tutto ciò che normalmente al cinema si trascura: è un documentarista che riprende animali in gabbia. Adotta uno stile che può piacere o risultare tedioso: potrebbe essere percepito come un vezzo, ma è indubbiamente funzionale al discorso portato avanti dal regista taiwanese.
Da prendere o lasciare.

Voto: 3/5

-Goodbye Dragon Inn
Taiwan 2003 - sperimentale - 82min.

Fuori piove a dirotto. Dentro, anime erranti vagano qua e là persi in un sogno o in un ricordo; un ragazzo giapponese va in cerca di avventure omosessuali; una bigliettaia pulisce e riordina ed un proiezionista proietta per l'ultima volta il vecchio film (1967) Dragon Inn di King Hu. Il luogo? una sala cinematografica a Taipei sospesa dalla realtà, in procinto di chiudere i battenti.

Il titolo originale (bu san = indugiare, attardarsi) restituisce l'idea che il film vuol trasmettere: il respiro prima del balzo, il saluto prima del congedo. Da un certo tipo di cinema, da un certo tipo di vita. Il sesto lungometraggio di Tsai per il cinema è un intonaco che si sgretola, una manciata di sabbia che scivola via dal pugno chiuso. La sala è separata dalla città da una pioggia incessante, (l'acqua è un elemento importantissimo nella cinematografia del regista malese), costituendo un microcosmo autonomo che è un archivio della memoria filmica. In essa i vecchi attori interpreti del film che viene proiettato si aggirano persi nella ripetizione di sé stessi, nella propria auto-contemplazione, in uno dei più formidabili cortocircuiti metafisici mai messi in scena.

L'eleganza formale della camera fissa o appena appena mobile è complementare ad una fotografia tetra che immortala antri oscuri e umidi, corridoi lunghissimi e sporchi, cunicoli dalla conformazione labirintica che frammentano lo spazio diegetico in un labirinto in cui è impossibile orientarsi. Quanto sia in grado di esprimere Tsai senza ricorrere a dialoghi è proprietà sua esclusiva (le prime battute pronunciate in scena si odono oltre il quarantesimo minuto), talento innato di un autore unico, qui in forma smagliante. La solitudine, tema portante della sua poetica, qui è declinata non tanto rispetto agli uomini, quanto alla cinematografia di un certo tipo e di una certa epoca, che non si fa più così perché i tempi sono ormai cambiati, eppure era proprio quello il cinema cui il regista si era appassionato da bambino.

La nostalgia per un qualcosa di concluso ed irripetibile: di questo "parla" Goodbye, Dragon Inn, esperimento d'avanguardia che non manca di momenti umoristici (umorismo silenzioso) né di colpi di genio registico (usare come colonna sonora del film la musica intra-diegetica della pellicola proiettata in sala).
Con tutti i pregi (ed i difetti: di ritmo in primis) del modus operandi di Tsai Ming-Liang, questo film è semplicemente imperdibile per qualunque appassionato della settima arte e di weird-seekers, mentre costituisce una visione probabilmente troppo ostica per chiunque altro.

Voto:4/5

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