Bicycle Sighs (自転車吐息, Jitensha toiki) (1990)
The Room (部屋 THE ROOM, Heya) (1992) - 3/5
It's Me, Keiko! - Keiko desu kedo (桂子ですけど) (1997) - 4/5
Kaze (1997)
Dankon: The Man (1998)
Seigi no Tatsujin Nyotai Tsubo saguri (2000)
Utsushimi (2000)
Suicide Club (自殺サークル, Jisatsu saakuru) (2002) - 3,5/5
Into a Dream (夢の中へ, Yume no naka e) (2005) - 2/5
Noriko's Dinner Table (紀子の食卓, Noriko no shokutaku) (2005) - 2,5/5
It's Me, Keiko! - Keiko desu kedo (桂子ですけど) (1997) - 4/5
Kaze (1997)
Dankon: The Man (1998)
Seigi no Tatsujin Nyotai Tsubo saguri (2000)
Utsushimi (2000)
Suicide Club (自殺サークル, Jisatsu saakuru) (2002) - 3,5/5
Into a Dream (夢の中へ, Yume no naka e) (2005) - 2/5
Noriko's Dinner Table (紀子の食卓, Noriko no shokutaku) (2005) - 2,5/5
Strange Circus (気球クラブ、その後, Kimyô na sâkasu) (2005) - 3/5
HAZARD (ハザード) (2005) - 3/5
Kikyû kurabu, sonogo (2006)
Exte: Hair Extensions (エクステ, Ekusute) (2007) - 2,5/5
Love Exposure (愛のむきだし, Ai no mukidashi) (2008) - 5/5
Be Sure to Share (Chanto tsutaeru) (2009) - 2,5/5
HAZARD (ハザード) (2005) - 3/5
Kikyû kurabu, sonogo (2006)
Exte: Hair Extensions (エクステ, Ekusute) (2007) - 2,5/5
Love Exposure (愛のむきだし, Ai no mukidashi) (2008) - 5/5
Be Sure to Share (Chanto tsutaeru) (2009) - 2,5/5
Cold Fish (冷たい熱帯魚 Tsumetai Nettaigyo) (2010) - 3,5/5
Guilty of Romance (恋の罪, Koi no Tsumi) (2011) - 3/5
Himizu (ヒミズ) (2011) - 3/5
The Land of Hope (Kibou no kuni) (2012) - 4/5
Why Don't You Play in Hell? (地獄でなぜ悪い) (2013) - 2,5/5
Tokyo Tribe (2014) - 3,5/5
Film-riflessione sul tempo che passa, scorre inesorabile, e viene usato, sprecato, impiegato. Keiko, voce narrante ma muta in scena, ci mostra il suo microscopico appartamento e ci seduce con le sue riflessioni sulla vita. Keiko usa il suo tempo per non far nulla, per giocare a finti telegiornali, per contemplare, per meditare. Gli interni rossi della sua casa sono i nostri interni, e lei è noi, oltre Sono stesso. E mentre noi vediamo il film le lancette dell'orologio si muovono, inesorabili, proseguendo nel loro giro, invecchiandoci, uccidendoci. Che fare col tempo che ci è dato?
Bellissimo.
Voto: 4/5
-Suicide Club (aka: Suicide Circle)
Giappone 2002 - drammatico - 99min.
Datesi appuntamento ad una stazione della metropolitana di Tokyo, 54 studentesse giapponesi attuano un suicidio congiunto, saltando sotto al treno in arrivo. Il detective Kuroda (Ryu Ishibashi, già protagonista di Audition di Takashi Miike) deve investigare sul caso. All'inizio pare non ci sia molto da fare, in quanto non si trovano piste da seguire per formulare ipotesi di reato, né si individua un capo di questa rete di contatti che organizza suicidi di gruppo. Ad un certo punto però la situazione cambia e, in un vortice di avvenimenti sempre più inquietante, si arriverà ad capire chi ci sia dietro al Suicide Club, anche se il motivo rimane oscuro.
Proiettato in festival di tutto il mondo, è sedimentato nell'immaginario cinematografico grazie alla strabiliante sequenza d'apertura, che definisce il tono del film: la morte pervade tutta la pellicola, insidiandosi nell'animo dei personaggi e della società nipponica in generale. Atmosfere lugubri, desolazione e nichilismo la fanno da padrone nel film che ha lanciato Sono a livello internazionale; la sempre ottima regia di Sono, cinico e disincantato, dipinge un mondo in cui si perde qualunque motivazione a vivere, e suicidarsi diventa un gioco da provare durante l'intervallo delle lezioni. Continui colpi di scena rendono imprevedibile la sceneggiatura (in perfetta tradizione del regista) che offre continuamente nuove possibili soluzioni al caso (nonché nuovi enigmi). La fine della pellicola è ancor meno rassicurante dell'inizio, anzi getta lo spettatore nel più profondo sconforto.
L'atmosfera generata è incredibile: l'impressione è quella di un grande vuoto, un nulla di sentimenti ed emozioni che precipita in una cupissima impossibilità di qualsivoglia salvazione per il genere umano. Il pessimismo è sicuramente uno dei pilastri della poetica di Sion Sono, che però talvolta si concede divagazioni comiche o perlomeno surreali o grottesche; in questo film invece c'è una crudezza impietosa nei confronti dei personaggi, persino dello stesso detective Kuroda, cui Sono non risparmia ogni genere di vessazione.
più crudo concreto di Tsukamoto, più realistico di Kitano e meno goliardico di Miike, Sono è un regista della crudeltà.
Sono ha tratto scritto un romanzo basato su questo film, Suicide Circle: The Complete Edition (2002), ed ha ulteriormente sviluppato il progetto con un altro film, Noriko's Dinner Table (2006), sorta di sequel che, tramite qualche flebile legame con questo film, dipinge uno degli affreschi urbani più sconsolati della cinematografia giapponese.
voto: 3,5/5
-Into a Dream
Giappone 2005 - drammatico - 102min.
Un ragazzo è attore di teatro in lite con la sua donna. Ma forse è un terrorista. Ma forse è uno o sotto interrogatorio. Ogni volta che si addormenta il suo mondo ed il suo ruolo all'interno di quel mondo cambiano.
Cosa è vero? Cosa è finto? Il cinema è realtà, finzione, tutte e due, nessuna? Girato in digitale, camera a mano, lunghi pianisequenza. Un film fatto in fretta e furia fra una pellicola e l'altra (ben 4 film nel 2005; questo è il peggiore). Lynchano.
Forse non riuscito in quanto privo di un vero e proprio messaggio, incapace di catalizzare o stimolare riflessioni come ne era in grado It's Me, Keiko!.
Un esperimento poco riuscito.
Voto: 2/5
-Noriko's Dinner Table
Giappone 2005 - drammatico - 137min.
Nella storia di Noriko che abbandona la sua casa per cercare un'identità ed un futuro a Tokyo, si mischiano le vicende del Suicide Club, parentesi oniriche, numerosissimi personaggi e vari registri di genere, tra cui il film di investigazione ed i dramma esistenziale. Troppa carne al fuoco per il sequel più inusuale della storia del cinema. Si fatica a star dietro all'ansia di raccontare, di mostrare, di tessere legami ed enigmi di Sion Sono, un intreccio irrisolto fino alla fine, con un finale prolisso, astratto, intollerabile.
Un ermetismo che fa trasparire solo tracce di emozioni, tutte negative: paura, angoscia, malinconia.
Disperazione postmoderna made in Japan.
Voto: 2,5/5
-Strange Circus
Giappone 2005 - thriller/horror - 109min.
Mitsuko, bambina dodicenne, è abusata dal padre Gozo, facoltoso preside di una scuola. Gozo la chiude nella custodia di un violoncello obbligandola ad assistere ai congressi carnali fra lui e la moglie. Quest'ultima scopre la verità, ed il marito inizia a riservare anche a lei lo stesso trattamento, rinchiudendola nella custodia mentre si accoppia con la figlia. sviluppi successivi portano a credere che la storia fin qui sia frutto della fantasia di una famosa scrittrice alle prese con il suo ultimo romanzo. Altri colpi di scena ribalteranno più volte le carte in tavola.
Il film si apre e si chiude con una parentesi onirica circense. Il circo potrebbe essere la vita di tutti i giorni, di cui tutti noi rappresentiamo i fenomeni da baraccone. Tutta la pellicola affonda in un nichilismo senza speranza, immerso in incubi sanguinosi e turpi violenze, non solo sessuali. Come molto cinema asiatico di tempi recenti (la trilogia coreana di Chan-Wook Park, The Housemaid di Im-Sang Soo, molti film di Takashi Miike) il tema centrale è la vendetta, anche se il regista fa di tutto per celare allo spettatore i nodi principali della vicenda: vendetta di chi nei confronti di chi?
Iniziando come un dramma famigliare a tema erotico con parentesi grottesche, la pellicola scivola poi in un finale splatter all'insegna delle emozioni più negative che un essere umano possa provare. L'arte di Sion Sono, regista poco conosciuto in Occidente (sebbene questo film abbia vinto il premio della regia al festival di Berlino 2006), si gioca sulla specularità fra il paesaggio mentale dei protagonisti e le ambientazioni: la piccola Mitzuko si aggira per corridoi scolastici grondanti sangue a seguito della violenza subita; la scrittrice Taeko riflette la propria personalità nevrotica in una casa nettamente divisa in un'elegante sala di rappresentanza ed uno sporco e disordinato locale abitativo; l'universo da incubo vissuto dai protagonisti è metaforizzato dal circo di freaks che racchiude l'intero film (e forse l'intero nostro mondo).
I contrasti cromatici sono il registro prediletto da una fotografia che predilige spazi chiusi e vicinanza ai personaggi; in effetti il senso di claustrofobia ricreato dalla pellicola è uno dei suoi pregi più evidenti. Il compiacimento estetico è in alcuni casi troppo ingombrante, e si finisce per essere saturi del rosso che spesso riempie le inquadrature. Il punto forte del film è invece la sceneggiatura, difficilmente prevedibile, che solo nel finale sembra arrancare per qualche momento; ma i continui cambi di protagonista, i colpi di scena che sconvolgono la narrazione la grande varietà di registri di genere che compongono il film lo rendono una delle produzioni più originali provenienti dall'Estremo Oriente dell'ultimo decennio. Il magnetico cast è la ciliegina sulla torta di un thriller opprimente, violento e scabroso che sicuramente riesce nell'intento di colpire emotivamente lo spettatore, lasciandolo più volte spiazzato.
Voto: 3/5
-HAZARD
Giappone 2005 - drammatico/gangster - 102min.
Un ragazzo giapponese va a N.Y. per cercare un po' di vita, un po' di avventura, un po' di Hazard. Ne troverà anche troppa. Sentire il brivido, riempirsi di adrenalina, questo sarebbe l'intento. Trovarsi immischiato in spaccio di droga nascosta nei gelati, risse e sparatorie non è forse la migliore aspettativa di vita, ma non si fanno molti sconti ai tre protagonisti del film. Sono li capisce, li tratta con benevolenza e anche con pietà partecipe, ma non li salva. Vite allo sbando volontario, cosa non si fa per un po' di Hazard?
-The Land of Hope
Giappone 2012 - drammatico - 133min.
Due famiglie di un paesino della prefettura di Nagashima vengono sconvolte da un terremoto che procura dei danni alla centrale nucleare lì vicino. Le autorità fissano l'evacuazione obbligatoria per le abitazione nel raggio di 20 km dalla centrale; la linea di separazione cade proprio in mezzo al giardino di casa Ono, con la casa stessa che rimane appena oltre il limite di sicurezza. L'altra famiglia, i vicini di casa, devono invece andare in un centro di accoglienza. Da qui Mitsuru riparte assieme alla sua fidanzata Yoko in cerca dei parenti dispersi di lei (verosimilmente morti), mentre l'anziana coppia Ono decide di rimanere nella casa, perchè ormai anziani. Tuttavia il signor Ono (Isao Natsuyagi, memorabile) obbliga il figlio Yoichi (Atsushi Murakami) e la moglie di lui, Izumi (Megumi Kagurazaka) ad andarsene.
Dopo l'incidente di Fukushima, Sono rimaneggiò la sceneggiatura di Himizu per far rientrare la dinamica dell'incidente all'interno del film. Non soddisfatto, ha poi realizzato questo The Land of Hope, totalmente incentrato sul tema. Il maggior tempo a disposizione ha permesso di realizzare ciò che con Himizu non era stato possibile: una lunga, sofferta ma stavolta organica e coerente meditazione sulla vita, la morte, la tragedia della catastrofe e la speranza della rinascita.
I giapponesi hanno nel DNA la pacata rassegnazione al destino, la serena accettazione della morte; hanno anche un innato spirito combattente ed una volontà di riscatto del tutto evidente dal secondo dopoguerra. Tale polivalenza costituisce il fulcro di questo film sublime, un requiem per le vittime dell'incidente di Fukushima e un atto d'amore verso il proprio paese, ancora una volta in grado di rialzarsi, un passo alla volta, come sottolineato da alcune scene ricorrenti nella pellicola. Sono non cessa di essere sperimentale, sebbene qui per sperimentale non si intenda il simbolismo esoterico di film come It's me, Keiko! o la commistione grottesca di generi come Love Exposure. Il tentativo è quello di far emergere più che mai il sottotesto di genere presente in quasi tutti i suoi lavori, ovvero il melodramma, e di promuoverlo a motore principale della pellicola, raggiungendo picchi emozionali di sconvolgente trasporto, che nei campi lunghi delle rovine di macerie accarezzate dall'Adagio della decima sinfonia di Mahler produce uno stato simile al sublime romantico: massimo terrore, massima tristezza eppure anche massima gioia, massima speranza, massima potenza. Il tutto senza mai uscire dai canoni tecnici di una produzione realistica (seppur con tenui tocchi surreali quà e là).
D'altronde, come tutti i film di Sion Sono, The Land of Hope è un film di eccessi: la paranoia della contaminazione da radiazioni si trasforma in radiofobìa, l'attaccamento alla propria terra natìa e la disperazione al pensiero di perderla ("un giapponese non può camminare sul suolo giapponese?" esclama il vecchio signor Ono) portano alla decisione di permanenza in un luogo ormai mortifero, l'amore che lega Yoichi e Izumi li porta a restare uniti malgrado tutte le difficoltà e decidere di tenere il figlio che attende di nascere, e sempre l'amore porta Mitsuru e Yoko a decidere di sposarsi, con un abbraccio in mezzo alle rovine innevate che scalda il cuore degli spettatori.
Un film imperdibile i cui unici difetti sono qualche tempo leggermente dilatato che non avrebbe fatto male asciugare, ma anche questo è un marchio di fabbrica del suo autore.
Voto: 4/5
-Why Don't You Play in Hell?
Giappone 2013 - grottesco - 129min.
Un banda di sgangherati wannabe filmmakers denominati Fuck Bombers; due famiglie yakuza in lotta fra loro. La figlia del boss in fuga che si accolla un poveraccio che non centra nulla. Un unico destino.
La trama è sgangherata come al solito ed il fatto che la sceneggiatura sia vecchia di 15 anni (quindi prima del successo di Suicide Club che impose definitivamente Sion Sono all'attenzione di pubblico e critica) fa intuire una dimensione autobiografica del regista, nella figura del giovane aspirante regista iper-entusiasta e senza un soldo convinto che prima o poi il "Dio del cinema" si accorgerà di lui. Dopo il dittico drammatic sulle recenti catastrofi ambiental che hanno colpito il Giappone, Sono si prende una pausa dal cinema più ipegnato con una delle sue anarchiche scorribande nel grottesco spinto, mescolando yakuza movie, teen comedy, cinema sul cinema, kung-fu e parecchi tocchi splatter che sanno di eccessi Tarantin-iani (la caricaturale carneficina finale che occupa una buona mezz'ora). Purtroppo le idee non sono poi molte, ed il film sembra più un pout-pourri demenziale alla Exte che un progetto coeso con una precisa identità. Non mancano riminiscenze da altri film di Sono, come l'attenzione verso una gioventù creativa e volonterosa fino all'eccesso pur fra mille difficoltà (ne abbiamo visti in HAZARD, Himizu, Love Exposure ed altri) ed un concept metacinematografico che ricorda i diversi piani di realtà di Into a Dream. Solo per i fan.
Voto: 2,5/5
-Tokyo Tribe
Giappone 2014 - musical/musicale/gangster/grottesco/azione - 116min.
Musical rap/hip-hop/techno/disco su giovani gangsta e rispettive tribù che si contendono il dominio su Tokyo. Benvenuti nel delirio. Benvenuti in Tokyo Tribe!!!
Con questo film il geniale Sion Sono adatta il manga Tokyo Tribe2 di Santa Inoue, pubblicato dal 1997 al 2005 e seguito del monovolume Tokyo Tribe. Già dalla sequenza di apertura si rimane stupiti: un lungo pianosequenza in cui ci addentriamo nei vicoli di una Tokyo reinventata in studio come covo di punk e gangster dai colori sgargianti, guidati da un rapper che ci fa da Virgilio in questo girone infernale a ritmo di musica disco/rap/elettronica. Anche se non totalmente cantato, il film ha una colonna sonora praticamente ininterrotta che, assieme ai colori psichedelici di scenografie e costumi, ha un potere ipnotico sullo spettatore, avvinghiato da un magma audiovisivo che martella il nervo ottico e l'apparato uditivo. Fra una citazione e l'altra (Quentin Tarantino e Lars von Trier tra gli altri) assistiamo alla passerella di improbabili personaggi e conosciamo le principali gang che si contendono il dominio sulla città. La trama è esile e non ha molta importanza, ciò che conta è farsi trascinare dall'azione, sempre più improbabile e surreale al procedere del film, il quale finisce con una lunga sequenza di scazzottata generale che ricorda quelle di The Way to Fight o Crows Zero di Miike Takashi.
C'è di tutto in questo film: azione, erotismo, commedia, amore, dramma, comicità grottesca tipicamente nipponica e come detto tanta musica. Ci sono poi le stranezze e le trovate tipiche di Sono, come gli esilaranti stacchi montaggio sulla vecchietta DJ o gli spericolati movimenti di macchina. E vi si può persino leggere un'allegoria della società giapponese - ancora radicata nella logica feudale dei signorotti locali con piccoli eserciti al seguito e perennemente in lotta fra loro - nonchè notare la predilezione nipponica per i giochi di ruolo e le meccaniche da videogame, in questo caso gli strategici e i beat'em up (da Double Dragon ad Advance Wars). Poco importa allora se gli effetti speciali siano vistosamente posticci, o se le scenografie tradiscano a volte la loro natura artificiale: in un film-gioco come questo anche la mancata sospensione di incredulità può contribuire al divertimento.
Voto: 3,5/5
Himizu (ヒミズ) (2011) - 3/5
The Land of Hope (Kibou no kuni) (2012) - 4/5
Why Don't You Play in Hell? (地獄でなぜ悪い) (2013) - 2,5/5
Tokyo Tribe (2014) - 3,5/5
Sion Sono (1961), giapponese, iniziò la sua carriera artistica scrivendo poesie, per poi dedicarsi al cortometraggio. Divenuto vero e proprio regista, filma pellicola personali ed originali, che coniugano erotismo e violenza ad una ricercata estetica e toni grotteschi ed umoristici. Non sono film adatti a tutti i palati. Dal 2011, dopo l'incidente di Fukushima, Sono ha iniziato a cambiato registro, abbandonando gli eccessi visivi a vantaggio degli eccessi melodrammatici.
-The Room
Giappone 1992 - drammatico - 90min.
Un vecchio si rivolge ad un'agenzia immobiliare per cercare un appartamento. Una dipendente dell'agenzia nel corso di diversi giorni lo porta a visitare vari appartamenti, ma sembra che nulla riesca a soddisfare il vecchio.
Primo lungometraggio davvero importante a livello internazionale per Sono, reduce dal buon successo in patria di Bicycle Sighs, The Room ha circolato in decine di festival in tutto il mondo, e non è difficile capire il perché: B/N, camera fissa, niente musica (eccetto a inizio e fine film), azione quasi inesistente, dialoghi scarni. Tutti elementi che, se non ci trovassimo di fronte ad un autore estremamente dotato, farebbero affossare qualunque pellicola. Sono si rivela in questo suo film non meno estremo che nelle sue più violente e radicali opere come Strange Circus o Cold Fish: è violento psicologicamente, concettualmente. Mette in scena un lugubre rito in una lugubre megalopoli, in cui due persone, il vecchio e la ragazza, pur totalmente diversi per età e vita, condividono un'assenza, un Vuoto esistenziale, un'apatia del vivere che li opprime, ed opprime tutta quella società in bianco e nero che si vede al di là dei vetri sporchi di una sopraelevata. The Room è un viaggio all'inferno della non-vita quotidiana del giapponese qualunque, e forse anche di noi.
Bello, ma lento e di contemplazione, quindi richiede di essere in vena.
Voto: 3/5
-It's Me, Keiko!
Giappone 1997 - sperimentale - 61min.
-The Room
Giappone 1992 - drammatico - 90min.
Un vecchio si rivolge ad un'agenzia immobiliare per cercare un appartamento. Una dipendente dell'agenzia nel corso di diversi giorni lo porta a visitare vari appartamenti, ma sembra che nulla riesca a soddisfare il vecchio.
Primo lungometraggio davvero importante a livello internazionale per Sono, reduce dal buon successo in patria di Bicycle Sighs, The Room ha circolato in decine di festival in tutto il mondo, e non è difficile capire il perché: B/N, camera fissa, niente musica (eccetto a inizio e fine film), azione quasi inesistente, dialoghi scarni. Tutti elementi che, se non ci trovassimo di fronte ad un autore estremamente dotato, farebbero affossare qualunque pellicola. Sono si rivela in questo suo film non meno estremo che nelle sue più violente e radicali opere come Strange Circus o Cold Fish: è violento psicologicamente, concettualmente. Mette in scena un lugubre rito in una lugubre megalopoli, in cui due persone, il vecchio e la ragazza, pur totalmente diversi per età e vita, condividono un'assenza, un Vuoto esistenziale, un'apatia del vivere che li opprime, ed opprime tutta quella società in bianco e nero che si vede al di là dei vetri sporchi di una sopraelevata. The Room è un viaggio all'inferno della non-vita quotidiana del giapponese qualunque, e forse anche di noi.
Bello, ma lento e di contemplazione, quindi richiede di essere in vena.
Voto: 3/5
-It's Me, Keiko!
Giappone 1997 - sperimentale - 61min.
Una settimana nella vita di Keiko, che sta per compiere 21 anni, in solitudine.
Film-riflessione sul tempo che passa, scorre inesorabile, e viene usato, sprecato, impiegato. Keiko, voce narrante ma muta in scena, ci mostra il suo microscopico appartamento e ci seduce con le sue riflessioni sulla vita. Keiko usa il suo tempo per non far nulla, per giocare a finti telegiornali, per contemplare, per meditare. Gli interni rossi della sua casa sono i nostri interni, e lei è noi, oltre Sono stesso. E mentre noi vediamo il film le lancette dell'orologio si muovono, inesorabili, proseguendo nel loro giro, invecchiandoci, uccidendoci. Che fare col tempo che ci è dato?
Bellissimo.
Voto: 4/5
-Suicide Club (aka: Suicide Circle)
Giappone 2002 - drammatico - 99min.
Datesi appuntamento ad una stazione della metropolitana di Tokyo, 54 studentesse giapponesi attuano un suicidio congiunto, saltando sotto al treno in arrivo. Il detective Kuroda (Ryu Ishibashi, già protagonista di Audition di Takashi Miike) deve investigare sul caso. All'inizio pare non ci sia molto da fare, in quanto non si trovano piste da seguire per formulare ipotesi di reato, né si individua un capo di questa rete di contatti che organizza suicidi di gruppo. Ad un certo punto però la situazione cambia e, in un vortice di avvenimenti sempre più inquietante, si arriverà ad capire chi ci sia dietro al Suicide Club, anche se il motivo rimane oscuro.
Proiettato in festival di tutto il mondo, è sedimentato nell'immaginario cinematografico grazie alla strabiliante sequenza d'apertura, che definisce il tono del film: la morte pervade tutta la pellicola, insidiandosi nell'animo dei personaggi e della società nipponica in generale. Atmosfere lugubri, desolazione e nichilismo la fanno da padrone nel film che ha lanciato Sono a livello internazionale; la sempre ottima regia di Sono, cinico e disincantato, dipinge un mondo in cui si perde qualunque motivazione a vivere, e suicidarsi diventa un gioco da provare durante l'intervallo delle lezioni. Continui colpi di scena rendono imprevedibile la sceneggiatura (in perfetta tradizione del regista) che offre continuamente nuove possibili soluzioni al caso (nonché nuovi enigmi). La fine della pellicola è ancor meno rassicurante dell'inizio, anzi getta lo spettatore nel più profondo sconforto.
L'atmosfera generata è incredibile: l'impressione è quella di un grande vuoto, un nulla di sentimenti ed emozioni che precipita in una cupissima impossibilità di qualsivoglia salvazione per il genere umano. Il pessimismo è sicuramente uno dei pilastri della poetica di Sion Sono, che però talvolta si concede divagazioni comiche o perlomeno surreali o grottesche; in questo film invece c'è una crudezza impietosa nei confronti dei personaggi, persino dello stesso detective Kuroda, cui Sono non risparmia ogni genere di vessazione.
più crudo concreto di Tsukamoto, più realistico di Kitano e meno goliardico di Miike, Sono è un regista della crudeltà.
Sono ha tratto scritto un romanzo basato su questo film, Suicide Circle: The Complete Edition (2002), ed ha ulteriormente sviluppato il progetto con un altro film, Noriko's Dinner Table (2006), sorta di sequel che, tramite qualche flebile legame con questo film, dipinge uno degli affreschi urbani più sconsolati della cinematografia giapponese.
voto: 3,5/5
-Into a Dream
Giappone 2005 - drammatico - 102min.
Un ragazzo è attore di teatro in lite con la sua donna. Ma forse è un terrorista. Ma forse è uno o sotto interrogatorio. Ogni volta che si addormenta il suo mondo ed il suo ruolo all'interno di quel mondo cambiano.
Cosa è vero? Cosa è finto? Il cinema è realtà, finzione, tutte e due, nessuna? Girato in digitale, camera a mano, lunghi pianisequenza. Un film fatto in fretta e furia fra una pellicola e l'altra (ben 4 film nel 2005; questo è il peggiore). Lynchano.
Forse non riuscito in quanto privo di un vero e proprio messaggio, incapace di catalizzare o stimolare riflessioni come ne era in grado It's Me, Keiko!.
Un esperimento poco riuscito.
Voto: 2/5
-Noriko's Dinner Table
Giappone 2005 - drammatico - 137min.
Nella storia di Noriko che abbandona la sua casa per cercare un'identità ed un futuro a Tokyo, si mischiano le vicende del Suicide Club, parentesi oniriche, numerosissimi personaggi e vari registri di genere, tra cui il film di investigazione ed i dramma esistenziale. Troppa carne al fuoco per il sequel più inusuale della storia del cinema. Si fatica a star dietro all'ansia di raccontare, di mostrare, di tessere legami ed enigmi di Sion Sono, un intreccio irrisolto fino alla fine, con un finale prolisso, astratto, intollerabile.
Un ermetismo che fa trasparire solo tracce di emozioni, tutte negative: paura, angoscia, malinconia.
Disperazione postmoderna made in Japan.
Voto: 2,5/5
-Strange Circus
Giappone 2005 - thriller/horror - 109min.
Mitsuko, bambina dodicenne, è abusata dal padre Gozo, facoltoso preside di una scuola. Gozo la chiude nella custodia di un violoncello obbligandola ad assistere ai congressi carnali fra lui e la moglie. Quest'ultima scopre la verità, ed il marito inizia a riservare anche a lei lo stesso trattamento, rinchiudendola nella custodia mentre si accoppia con la figlia. sviluppi successivi portano a credere che la storia fin qui sia frutto della fantasia di una famosa scrittrice alle prese con il suo ultimo romanzo. Altri colpi di scena ribalteranno più volte le carte in tavola.
Il film si apre e si chiude con una parentesi onirica circense. Il circo potrebbe essere la vita di tutti i giorni, di cui tutti noi rappresentiamo i fenomeni da baraccone. Tutta la pellicola affonda in un nichilismo senza speranza, immerso in incubi sanguinosi e turpi violenze, non solo sessuali. Come molto cinema asiatico di tempi recenti (la trilogia coreana di Chan-Wook Park, The Housemaid di Im-Sang Soo, molti film di Takashi Miike) il tema centrale è la vendetta, anche se il regista fa di tutto per celare allo spettatore i nodi principali della vicenda: vendetta di chi nei confronti di chi?
Iniziando come un dramma famigliare a tema erotico con parentesi grottesche, la pellicola scivola poi in un finale splatter all'insegna delle emozioni più negative che un essere umano possa provare. L'arte di Sion Sono, regista poco conosciuto in Occidente (sebbene questo film abbia vinto il premio della regia al festival di Berlino 2006), si gioca sulla specularità fra il paesaggio mentale dei protagonisti e le ambientazioni: la piccola Mitzuko si aggira per corridoi scolastici grondanti sangue a seguito della violenza subita; la scrittrice Taeko riflette la propria personalità nevrotica in una casa nettamente divisa in un'elegante sala di rappresentanza ed uno sporco e disordinato locale abitativo; l'universo da incubo vissuto dai protagonisti è metaforizzato dal circo di freaks che racchiude l'intero film (e forse l'intero nostro mondo).
I contrasti cromatici sono il registro prediletto da una fotografia che predilige spazi chiusi e vicinanza ai personaggi; in effetti il senso di claustrofobia ricreato dalla pellicola è uno dei suoi pregi più evidenti. Il compiacimento estetico è in alcuni casi troppo ingombrante, e si finisce per essere saturi del rosso che spesso riempie le inquadrature. Il punto forte del film è invece la sceneggiatura, difficilmente prevedibile, che solo nel finale sembra arrancare per qualche momento; ma i continui cambi di protagonista, i colpi di scena che sconvolgono la narrazione la grande varietà di registri di genere che compongono il film lo rendono una delle produzioni più originali provenienti dall'Estremo Oriente dell'ultimo decennio. Il magnetico cast è la ciliegina sulla torta di un thriller opprimente, violento e scabroso che sicuramente riesce nell'intento di colpire emotivamente lo spettatore, lasciandolo più volte spiazzato.
Voto: 3/5
-HAZARD
Giappone 2005 - drammatico/gangster - 102min.
Un ragazzo giapponese va a N.Y. per cercare un po' di vita, un po' di avventura, un po' di Hazard. Ne troverà anche troppa. Sentire il brivido, riempirsi di adrenalina, questo sarebbe l'intento. Trovarsi immischiato in spaccio di droga nascosta nei gelati, risse e sparatorie non è forse la migliore aspettativa di vita, ma non si fanno molti sconti ai tre protagonisti del film. Sono li capisce, li tratta con benevolenza e anche con pietà partecipe, ma non li salva. Vite allo sbando volontario, cosa non si fa per un po' di Hazard?
Regia forsennata, telecamera a spalla, affamata di immagini. Ci regala alcuni scorci magnifici di una Grande Mela come nessun americano era mai stato in grado di filmare.
Liberatorio, a suo modo.
Voto: 3/5
-Exte: Hair Extensions
Giappone 2007 – horror – 108min.
In una cittadina giapponese sul mare, la polizia portuale scopre un container pieno di extensions, in cui è nascosto il corpo di una ragazza. Il cadavere va all'obitorio, dove viene analizzato: pare che le siano stati asportati gli organi interni, probabilmente per rivenderli al mercato nero. L'inserviente dell'obitorio Yamazaki (Ren Osugi, volto noto per i fan di Miike), feticista dei capelli, porta il corpo della ragazza a casa sua quando si accorge che i suoi capelli continuano a crescere. Con tali capelli Yamazaki crea delle extensions che rivende ai parrucchieri locali. In uno di questi negozi lavora Yuko (Chiaki Kuriyama, presente in molti J-horror come Ju-on, è anche Gogo in Kill Bill Vol.1), ragazza semplice che si fede affibbiata dalla sorella poco di buono la figlia di lei, Mami. Yuko e Mami saranno prese di mira da Yamazaki per la bellezza dei loro capelli, e dovranno svelare il mistero delle extensions.
Parodia del J-horror, questo divertissement di Sion Sono è incentrato su un argomento che aveva ben poche probabilità di fungere da spunto per un film dell'orrore: capelli assassini. La trama delirante e ridicola conta poco, come lo svolgimento. Le scene più interessanti infatti sono quelle che non c'entrano con l'horror vero e proprio, ovvero le diatribe fra le due sorelle ed il rapporto fra Yuko e Mami, scene in cui emergono i temi cari all'autore: sete di vendetta, abusi infantili, difficoltà relazionali eccetera. La componente parodica, a parte l'assurdità del plot, è garantita dall'interpretazione esageratamente sopra le righe di Ren Osugi, sempre vestito in modi improbabili, mentre si circonda di capelli andando in estasi. Molto curiose ed originali le scenografie “pelose” di Katsuhiro Fukuzawa, lugubri ed esilaranti al tempo stesso.
L'eccesso di ridicolaggine può a volte travalicare il divertimento per scadere nell'imbarazzante.
Voto: 2,5/5
-Love Exposure
Giappone 2008 – grottesco/commedia/azione – 237min.
Yu è un ragazzo che vive in una famiglia cattolica. Dopo la morte della madre per malattia quando Yu era ancora bambino, il padre Tetsu si fa prete, ed i suoi sermoni sono sempre ben accolti dalla comunità locale. Un giorno Tetsu viene avvicinato in chiesa da una donna in preda ad una crisi religioso-esistenziale, Saori, di cui poco a poco finisce per innamorarsi. Il rapporto però non dura e Tetsu, abbandonato dalla donna, va fuori di testa. Obbliga con ferocia il figlio Yu a confessarsi tutti i giorni, sebbene il ragazzo conduca una vita tranquilla. La pressione psicologica esercitata dal padre disturba la psiche di Yu, che inizia a commettere apposta dei peccati per poterli confessare. Andatosene di casa, entra a far parte di una gang di criminali, attraverso cui conosce un guru del voyerismo che lo inizia alla pratica della fotografia molesta di intimi femminili. Diventato definitivamente un pervertito, Yu inizia, assieme a dei suoi compagni, a scattare foto coatte sotto le gonne delle ragazze. Tuttavia, per nessuna riesce a provare un vero desiderio sessuale.
Un giorno, andando in giro vestito da donna per aver perso una scommessa, avviene il miracolo: soccorre una ragazza, Yoko, circondata da una banda di punk, e si innamora a prima vista di lei.
Piccolo problema: Yoko pensa che Yu sia una donna, innamorandosi di lui/lei e pensando quindi di essere una lesbica. Ci sono inoltre numerosissime altre complicazioni, la più importante delle quali ha a che fare con una misteriosa setta religiosa nota come Zero Church, di cui fa parte una misteriosa ragazza di nome Koike, che entra misteriosamente nella vita di Yu e di Yoko, con intenzioni tutt'altro che buone.
Questo film che inizia come un dramma famigliare, si evolve come film comico-demenziale, prosegue con picchi drammatici alternati a toni da commedia, finisce in un finale sanguinoso, spruzzando tutto con una punta di erotismo, costituisce una delle più geniali commistioni di generi della storia del cinema. Sion Sono analizza tutte le possibili sfaccettature del concetto di amore (famigliare, amicale, sensuale, religioso) descrivendone le ossessioni e le conseguenze negative che ne possono derivare, nonostante le persone non possano fare a meno di amare. Pellicola assolutamente unica, è forse l'apice dell'arte di Sion Sono, regista oltremodo eclettico che sembra ispirarsi un po' a tutto per dar vita ad opere che non assomigliano un po' a niente. Basta notare la varietà di registri che si susseguono senza soluzione di continuità lungo le 4, bellissime ore del film: comico, drammatico, erotico, surreale, demenziale, violento, divertente, irriverente, metafisico. Recitazione straordinaria da parte di tutti gli attori. Telecamera digitale spesso nervosa, che però sa calmarsi nei momenti più pacati del film. Molto sangue, ma il film non è impressionante per violenza, spesso caricaturale. Potrà forse essere più disturbante per un fervente cattolico, che potrebbe offendersi per il modo in cui la religione viene strapazzata e ridicolizzata (per non dire condannata) nel film. E' infatti evidente il disprezzo mostrato dal regista nei confronti della religione, descritta sostanzialmente come un lavaggio del cervello che ottunde la mente delle persone, sbeffeggiata con accostamenti a dir poco sacrileghi (Yoko suscita il desiderio sessuale di Yu, espresso tramite un'erezione a dir poco smisurata, perchè gli ricorda una statua della Madonna).
Tecnicamente siamo ai massimi livelli, nonostante il budget evidentemente non stratosferico le scenografie sono convincenti (suggestivo l'interno del palazzo della Zero Church nel finale, in cui Sion Sono gioca con gli spazi per creare un ambiente claustrofobico pur immerso nella luce di uno ambiente apparentemente aperto) ed il montaggio eccezionale di Junichi Itō conferisce ritmo a questo lunghissimo film che altrimenti poteva risultare estenuante. Ma il vero capolavoro è la sceneggiatura, scritta dal regista stesso, con i suoi continui colpi di scena incasellati l'uno dentro l'altro e le sue sconnessioni temporali, che tiene costantemente vigile l'attenzione spettatoriale, ansiosa di saperne di più e di dipanare il bandolo della matassa narrativa. Ciliegina sulla torta è l'esilarante colonna sonora di Tomohide Harada, che unisce pezzi classici a composizioni per organo e a cori simil-gregoriani che stridono fortemente con l'assurdità delle immagini messe in scena. Capolavoro assoluto del cinema, è uno dei traguardi più importanti raggiunti dal cinema giapponese, ed è per inventiva, originalità e personalità avanti a quasi tutto il cinema contemporaneo.
Voto: 5/5
-Be Sure To Share
Giappone 2009 - drammatico/commedia - 108min.
Un giovane impiegato ha il padre che sta morendo di cancro. Lui si dispera, si rassegna, tenta di recuperare un rapporto. Scopre di essere malato pure lui: che fare?
Sembra una commedia sull'elaborazione di un lutto imminente e sul rapporto padre-figlio, poi si ammala anche il figlio e la tragedia si fa sempre più incombente. Si chiude tutto nel poetico che sa leggermente di saccarosio, ma non troppo: la regia intelligente di Sono sa come calibrare le emozioni dello spettatore. Il suo film forse più convenzionale può far storcere il naso per la sua canonicità, ma risulta tutt'altro che disprezzabile. Ben fatto, ben recitato, anche sinceramente emozionante. Peccato per quella confezione da bel compitino...
Voto: 2,5/5
-Cold Fish
Giappone 2010 - thriller - 144min.
Nobuyuki Shamoto (Mitsuru Fukikoshi), proprietario di un piccolo negozio di pesci, ha una moglie ed una figlia, nata da un precedente matrimonio. Quest'ultima non ha gradito il ri-matrimonio del padre, di conseguenza odia i genitori. Un giorno viene sorpresa a rubare in un supermercato. I genitori si recano sul luogo; il manager rimprovera aspramente la ragazza e i genitori per l'educazione impartitale, ma il proprietario di un negozio di pesci tropicali, amico del responsabile, lo convince a desistere dallo sporgere denuncia. Scoprendo i reciproci identici lavori, l'uomo, di nome Yukio Murata (Tetsu Watanabe, in arte Denden) propone alla famiglia Shamoto che la ragazza vada a lavorare per lui. La cosa si combina, e Murata, simpatico ma invadente, finisce per insistere talmente tanto da coinvolgere in affari Nobuyuki. Dopo poco tempo però Murata si rivelerà ben più pericoloso di quel che sembra.
Il film è ispirato ad un fatto di cronaca realmente accaduto in Giappone (ma rimaneggiato dal regista, che ne cambia soprattutto l'epilogo). Sion Sono trova nella realtà uno spunto per tratteggiare ancora una volta un ritratto sconfortante dei mali esistenziali del popolo giapponese contemporaneo: disgregazione famigliare, depravazione sessuale, patologie mentali. Con una freddezza che fa ben più terrore delle sanguinolente immagini messe in scena (pure spaventose), il regista filma la distruzione psicologica del protagonista Nobuyuki, giapponese medio con un lavoro tranquillo ed una famiglia normale, che lentamente vede crollare tutto ciò che ha costruito sotto i colpi di una follia cieca di cui è sia vittima che complice. Non si sa proprio per chi fare il tifo in questo film che non vanta nessun personaggio positivo, bensì una schiera di personcine maligne, meschine, o semplicemente pazze. Un abisso senza fondo che può solo precipitare in una violenza talmente efferata da poter essere perpetrata senza suscitare scandalo né rimorso di coscienza.
La regia di Sono è calibratissima nella costruzione narrativa, una lenta ma inesorabile discesa all'inferno, rapida quando serve, pacata nella prima metà e via via sempre più nervosa. La fotografia predilige tonalità scure e ombre, per poi far esaltare un rosso acceso della carne sanguinolenta che inonda l'inquadratura. Colonna sonora funzionale e notevole interpretazione da parte di tutti completano il quadro che, sebbene privo di particolari difetti (tolto forse qualche insistito compiacimento grand-guignolesco nella seconda parte) non brilla per originalità del plot, più canonico rispetto ad altri lavori del regista.
Voto: 3,5/5
-Guilty of Romance
Giappone 2011 - drammatico/thriller - 120min.
Liberatorio, a suo modo.
Voto: 3/5
-Exte: Hair Extensions
Giappone 2007 – horror – 108min.
In una cittadina giapponese sul mare, la polizia portuale scopre un container pieno di extensions, in cui è nascosto il corpo di una ragazza. Il cadavere va all'obitorio, dove viene analizzato: pare che le siano stati asportati gli organi interni, probabilmente per rivenderli al mercato nero. L'inserviente dell'obitorio Yamazaki (Ren Osugi, volto noto per i fan di Miike), feticista dei capelli, porta il corpo della ragazza a casa sua quando si accorge che i suoi capelli continuano a crescere. Con tali capelli Yamazaki crea delle extensions che rivende ai parrucchieri locali. In uno di questi negozi lavora Yuko (Chiaki Kuriyama, presente in molti J-horror come Ju-on, è anche Gogo in Kill Bill Vol.1), ragazza semplice che si fede affibbiata dalla sorella poco di buono la figlia di lei, Mami. Yuko e Mami saranno prese di mira da Yamazaki per la bellezza dei loro capelli, e dovranno svelare il mistero delle extensions.
Parodia del J-horror, questo divertissement di Sion Sono è incentrato su un argomento che aveva ben poche probabilità di fungere da spunto per un film dell'orrore: capelli assassini. La trama delirante e ridicola conta poco, come lo svolgimento. Le scene più interessanti infatti sono quelle che non c'entrano con l'horror vero e proprio, ovvero le diatribe fra le due sorelle ed il rapporto fra Yuko e Mami, scene in cui emergono i temi cari all'autore: sete di vendetta, abusi infantili, difficoltà relazionali eccetera. La componente parodica, a parte l'assurdità del plot, è garantita dall'interpretazione esageratamente sopra le righe di Ren Osugi, sempre vestito in modi improbabili, mentre si circonda di capelli andando in estasi. Molto curiose ed originali le scenografie “pelose” di Katsuhiro Fukuzawa, lugubri ed esilaranti al tempo stesso.
L'eccesso di ridicolaggine può a volte travalicare il divertimento per scadere nell'imbarazzante.
Voto: 2,5/5
-Love Exposure
Giappone 2008 – grottesco/commedia/azione – 237min.
Yu è un ragazzo che vive in una famiglia cattolica. Dopo la morte della madre per malattia quando Yu era ancora bambino, il padre Tetsu si fa prete, ed i suoi sermoni sono sempre ben accolti dalla comunità locale. Un giorno Tetsu viene avvicinato in chiesa da una donna in preda ad una crisi religioso-esistenziale, Saori, di cui poco a poco finisce per innamorarsi. Il rapporto però non dura e Tetsu, abbandonato dalla donna, va fuori di testa. Obbliga con ferocia il figlio Yu a confessarsi tutti i giorni, sebbene il ragazzo conduca una vita tranquilla. La pressione psicologica esercitata dal padre disturba la psiche di Yu, che inizia a commettere apposta dei peccati per poterli confessare. Andatosene di casa, entra a far parte di una gang di criminali, attraverso cui conosce un guru del voyerismo che lo inizia alla pratica della fotografia molesta di intimi femminili. Diventato definitivamente un pervertito, Yu inizia, assieme a dei suoi compagni, a scattare foto coatte sotto le gonne delle ragazze. Tuttavia, per nessuna riesce a provare un vero desiderio sessuale.
Un giorno, andando in giro vestito da donna per aver perso una scommessa, avviene il miracolo: soccorre una ragazza, Yoko, circondata da una banda di punk, e si innamora a prima vista di lei.
Piccolo problema: Yoko pensa che Yu sia una donna, innamorandosi di lui/lei e pensando quindi di essere una lesbica. Ci sono inoltre numerosissime altre complicazioni, la più importante delle quali ha a che fare con una misteriosa setta religiosa nota come Zero Church, di cui fa parte una misteriosa ragazza di nome Koike, che entra misteriosamente nella vita di Yu e di Yoko, con intenzioni tutt'altro che buone.
Questo film che inizia come un dramma famigliare, si evolve come film comico-demenziale, prosegue con picchi drammatici alternati a toni da commedia, finisce in un finale sanguinoso, spruzzando tutto con una punta di erotismo, costituisce una delle più geniali commistioni di generi della storia del cinema. Sion Sono analizza tutte le possibili sfaccettature del concetto di amore (famigliare, amicale, sensuale, religioso) descrivendone le ossessioni e le conseguenze negative che ne possono derivare, nonostante le persone non possano fare a meno di amare. Pellicola assolutamente unica, è forse l'apice dell'arte di Sion Sono, regista oltremodo eclettico che sembra ispirarsi un po' a tutto per dar vita ad opere che non assomigliano un po' a niente. Basta notare la varietà di registri che si susseguono senza soluzione di continuità lungo le 4, bellissime ore del film: comico, drammatico, erotico, surreale, demenziale, violento, divertente, irriverente, metafisico. Recitazione straordinaria da parte di tutti gli attori. Telecamera digitale spesso nervosa, che però sa calmarsi nei momenti più pacati del film. Molto sangue, ma il film non è impressionante per violenza, spesso caricaturale. Potrà forse essere più disturbante per un fervente cattolico, che potrebbe offendersi per il modo in cui la religione viene strapazzata e ridicolizzata (per non dire condannata) nel film. E' infatti evidente il disprezzo mostrato dal regista nei confronti della religione, descritta sostanzialmente come un lavaggio del cervello che ottunde la mente delle persone, sbeffeggiata con accostamenti a dir poco sacrileghi (Yoko suscita il desiderio sessuale di Yu, espresso tramite un'erezione a dir poco smisurata, perchè gli ricorda una statua della Madonna).
Tecnicamente siamo ai massimi livelli, nonostante il budget evidentemente non stratosferico le scenografie sono convincenti (suggestivo l'interno del palazzo della Zero Church nel finale, in cui Sion Sono gioca con gli spazi per creare un ambiente claustrofobico pur immerso nella luce di uno ambiente apparentemente aperto) ed il montaggio eccezionale di Junichi Itō conferisce ritmo a questo lunghissimo film che altrimenti poteva risultare estenuante. Ma il vero capolavoro è la sceneggiatura, scritta dal regista stesso, con i suoi continui colpi di scena incasellati l'uno dentro l'altro e le sue sconnessioni temporali, che tiene costantemente vigile l'attenzione spettatoriale, ansiosa di saperne di più e di dipanare il bandolo della matassa narrativa. Ciliegina sulla torta è l'esilarante colonna sonora di Tomohide Harada, che unisce pezzi classici a composizioni per organo e a cori simil-gregoriani che stridono fortemente con l'assurdità delle immagini messe in scena. Capolavoro assoluto del cinema, è uno dei traguardi più importanti raggiunti dal cinema giapponese, ed è per inventiva, originalità e personalità avanti a quasi tutto il cinema contemporaneo.
Voto: 5/5
-Be Sure To Share
Giappone 2009 - drammatico/commedia - 108min.
Un giovane impiegato ha il padre che sta morendo di cancro. Lui si dispera, si rassegna, tenta di recuperare un rapporto. Scopre di essere malato pure lui: che fare?
Sembra una commedia sull'elaborazione di un lutto imminente e sul rapporto padre-figlio, poi si ammala anche il figlio e la tragedia si fa sempre più incombente. Si chiude tutto nel poetico che sa leggermente di saccarosio, ma non troppo: la regia intelligente di Sono sa come calibrare le emozioni dello spettatore. Il suo film forse più convenzionale può far storcere il naso per la sua canonicità, ma risulta tutt'altro che disprezzabile. Ben fatto, ben recitato, anche sinceramente emozionante. Peccato per quella confezione da bel compitino...
Voto: 2,5/5
-Cold Fish
Giappone 2010 - thriller - 144min.
Nobuyuki Shamoto (Mitsuru Fukikoshi), proprietario di un piccolo negozio di pesci, ha una moglie ed una figlia, nata da un precedente matrimonio. Quest'ultima non ha gradito il ri-matrimonio del padre, di conseguenza odia i genitori. Un giorno viene sorpresa a rubare in un supermercato. I genitori si recano sul luogo; il manager rimprovera aspramente la ragazza e i genitori per l'educazione impartitale, ma il proprietario di un negozio di pesci tropicali, amico del responsabile, lo convince a desistere dallo sporgere denuncia. Scoprendo i reciproci identici lavori, l'uomo, di nome Yukio Murata (Tetsu Watanabe, in arte Denden) propone alla famiglia Shamoto che la ragazza vada a lavorare per lui. La cosa si combina, e Murata, simpatico ma invadente, finisce per insistere talmente tanto da coinvolgere in affari Nobuyuki. Dopo poco tempo però Murata si rivelerà ben più pericoloso di quel che sembra.
Il film è ispirato ad un fatto di cronaca realmente accaduto in Giappone (ma rimaneggiato dal regista, che ne cambia soprattutto l'epilogo). Sion Sono trova nella realtà uno spunto per tratteggiare ancora una volta un ritratto sconfortante dei mali esistenziali del popolo giapponese contemporaneo: disgregazione famigliare, depravazione sessuale, patologie mentali. Con una freddezza che fa ben più terrore delle sanguinolente immagini messe in scena (pure spaventose), il regista filma la distruzione psicologica del protagonista Nobuyuki, giapponese medio con un lavoro tranquillo ed una famiglia normale, che lentamente vede crollare tutto ciò che ha costruito sotto i colpi di una follia cieca di cui è sia vittima che complice. Non si sa proprio per chi fare il tifo in questo film che non vanta nessun personaggio positivo, bensì una schiera di personcine maligne, meschine, o semplicemente pazze. Un abisso senza fondo che può solo precipitare in una violenza talmente efferata da poter essere perpetrata senza suscitare scandalo né rimorso di coscienza.
La regia di Sono è calibratissima nella costruzione narrativa, una lenta ma inesorabile discesa all'inferno, rapida quando serve, pacata nella prima metà e via via sempre più nervosa. La fotografia predilige tonalità scure e ombre, per poi far esaltare un rosso acceso della carne sanguinolenta che inonda l'inquadratura. Colonna sonora funzionale e notevole interpretazione da parte di tutti completano il quadro che, sebbene privo di particolari difetti (tolto forse qualche insistito compiacimento grand-guignolesco nella seconda parte) non brilla per originalità del plot, più canonico rispetto ad altri lavori del regista.
Voto: 3,5/5
-Guilty of Romance
Giappone 2011 - drammatico/thriller - 120min.
La detective Kazuko (Miki Mizuno) arriva sul luogo di un orrendo delitto, in una baracca nel distretto a luci rosse di Tokyo: un manichino femminile vestito da scolaretta è costituito in parte da pezzi umani. per terra c'è un altro manichino, anch'esso in parte fatto di carne: chi e quante sono le vittime? Possono essere collegate alla recente sparizione di due donne, la casalinga Izumi (Megumi Kagurazaka) e l'assistente professoressa universitaria Mitsuko (Makoto Togashi)?
Ultimo episodio della "trilogia dell'odio", così definita dallo stesso Sono, iniziata da Love Exposure e proseguita da Cold Fish. Curioso che ben due film della trilogia dell'odio abbiano nel titolo un richiamo all'amore? Citando un famoso stralcio di Miike Takashi "più grande è l'amore, più aumenta la violenza", ed il trittico del regista giapponese sembra confermare.
Tre donne, tre differenti stati mentali: la detective, la più mascolina delle tre, rappresenta la razionalità più pragmatica; lontana da ogni femminilità, estranea a qualunque caratterizzazione seduttiva, rappresenta la ragione che districa il mistero; al suo opposto troviamo Mitsuko, la prostituta senza vergogna, l'erotismo più ostentatamente esibito, nonché la follia totale, il massimo distanziamento dalla razionalità dell'altro modello femminile. In mezzo la figura baricentrica di Izumi, che passa da un estremo all'altro, dal massimo della purezza al massimo della depravazione, dal massimo della razionalità al massimo della follia.
Un percorso quasi del tutto femminile, come Cold Fish era quasi tutto maschile e come Love Exposure risulta equamente distribuito. Nel cinema di Sion Sono insomma si ravvisano schemi e simmetrie, , tutt'altro che apparenti ad una prima visione. Tanto più che lo stile registico tipico del genio nipponico (scheggiatura ingarbugliata con continui colpi di scena, montaggio ellittico con continui spostamenti temporali, travalicazione di qualsivoglia confine di genere) è ben presente anche in questo lungometraggio.
Non tutto funziona a pieni giri stavolta, manca un po' di ritmo e forse per la prima volta la sceneggiatura pecca di una certa soglia di prevedibilità. Il film vanta comunque un'eccellente prova attoriale delle protagoniste, ed una sempre ottima regia, meno esagitata del solito. Sono costruisce il suo film in toni kubrickiani (per certi versi il film richiama Eyes Wide Shut), sebbene più nella sostanza che nella forma; ma c'è anche un continuo ed esplicito rimando al Castello di Kafka, che simboleggia l'impossibilità degli individui di appagare i propri desideri.
Parecchie tematiche affrontate per una visione coinvolgente.
Esiste una versione estesa di 144minuti.
Voto: 3/5
Ultimo episodio della "trilogia dell'odio", così definita dallo stesso Sono, iniziata da Love Exposure e proseguita da Cold Fish. Curioso che ben due film della trilogia dell'odio abbiano nel titolo un richiamo all'amore? Citando un famoso stralcio di Miike Takashi "più grande è l'amore, più aumenta la violenza", ed il trittico del regista giapponese sembra confermare.
Tre donne, tre differenti stati mentali: la detective, la più mascolina delle tre, rappresenta la razionalità più pragmatica; lontana da ogni femminilità, estranea a qualunque caratterizzazione seduttiva, rappresenta la ragione che districa il mistero; al suo opposto troviamo Mitsuko, la prostituta senza vergogna, l'erotismo più ostentatamente esibito, nonché la follia totale, il massimo distanziamento dalla razionalità dell'altro modello femminile. In mezzo la figura baricentrica di Izumi, che passa da un estremo all'altro, dal massimo della purezza al massimo della depravazione, dal massimo della razionalità al massimo della follia.
Un percorso quasi del tutto femminile, come Cold Fish era quasi tutto maschile e come Love Exposure risulta equamente distribuito. Nel cinema di Sion Sono insomma si ravvisano schemi e simmetrie, , tutt'altro che apparenti ad una prima visione. Tanto più che lo stile registico tipico del genio nipponico (scheggiatura ingarbugliata con continui colpi di scena, montaggio ellittico con continui spostamenti temporali, travalicazione di qualsivoglia confine di genere) è ben presente anche in questo lungometraggio.
Non tutto funziona a pieni giri stavolta, manca un po' di ritmo e forse per la prima volta la sceneggiatura pecca di una certa soglia di prevedibilità. Il film vanta comunque un'eccellente prova attoriale delle protagoniste, ed una sempre ottima regia, meno esagitata del solito. Sono costruisce il suo film in toni kubrickiani (per certi versi il film richiama Eyes Wide Shut), sebbene più nella sostanza che nella forma; ma c'è anche un continuo ed esplicito rimando al Castello di Kafka, che simboleggia l'impossibilità degli individui di appagare i propri desideri.
Parecchie tematiche affrontate per una visione coinvolgente.
Esiste una versione estesa di 144minuti.
Voto: 3/5
L'11 marzo 2011, a seguito di un terremoto sottomarino con conseguente tsunami, il Giappone è stato devastato da una doppia tragedia: oltre al cataclisma naturale, i sommovimenti terrestri hanno provocato danni, tra le altre infrastrutture colpite, ai reattori della centrale nucleare di Fukushima (costa nord-orientale del paese), con conseguente spargimento di radiazioni nell'aria destinate a diffondersi in tutto il mondo. Sion Sono, che era in procinto di iniziare a girare il suo film successivo, si affrettò a riscrivere la sceneggiatura per adattarla agli eventi in corso.
Giappone 2011 - drammatico - 130min.
Sumida (Shota Sometani), 14enne che (non) gestisce con la madre un'attività di noleggio barche, passa le sue giornate nella noia, subendo le angherie di un padre assente che si fa vivo solo per chiedere soldi, l'irresponsabilità di una madre dissoluta e sbandata, la mancanza di amici. Accanto alla catapecchia dove vive si è formata una piccola comunità di senzatetto che hanno perso tutto a seguito del disastro ambientale e vivono nelle tende. Sono l'unica compagnia di Sumida, che comunque è un ragazzo ombroso e scorbutico con tendenze antisociali. A nulla serve la premurosa attenzione che gli dedica una compagna di classe, Chazawa (Fumi Nikaido), che anzi è da lui maltrattata. Quando la madre di Sumida lo abbandona al suo destino per seguire un tizio, Sumida subisce le angherie di un gruppo di strozzini verso cui la madre era debitrice. La situazione per il ragazzo si fa disperata, tant'è che egli lascia la scuola e si rinchiude sempre più in se stesso ("himizu" vuol dire "talpa").
Per spiegare quanto questo film sia intricato basta considerare l'inquadratura finale: una carrellata laterale (speculare a quella di apertura) su un villaggio in macerie, con l'esortazione extradiegetica fatta da Chazawa nei confronti di Sumida a non arrendersi. In questa breve scena si intrecciano tre livelli di lettura. Il primo è strettamente legato alla trama del film: la co-protagonista esorta il protagonista a far fronte alla vita nonostante tutte le insidie che essa gli ha piazzato davanti, perché nonostante tutto la sua esistenza merita di essere vissuta; questo livello, che potrei definire di tipo esistenziale, può essere interpretato come un invito a ciascuno spettatore a vivere la propria esistenza assumendosi le responsabilità delle proprie azioni e senza arrendersi di fronte alle difficoltà, più o meno grandi, che tutti noi affrontiamo quotidianamente. Il secondo livello è socio-politico: Sono, per bocca di un personaggio, esorta il Giappone, paese fiero che è stato capace di rimettersi in piedi dopo la WWII diventando una delle principali economie mondiali, a rialzarsi ancora una volta per affrontare tutti insieme questa nuova sfida; il terzo è di portata più universale, potremmo dire filosofico: il regista riflette sulla piccolezza dell'individualità umana specie riguardo la sua capacità decisionale, ostacolata da eventi esterni alla volontà del singolo che sembrano lasciare poco spazio alla possibilità di cambiamento intentata da un atto volitivo personale. Eppure questi ostacoli non devono incentivare l'accidia, bensì stimolare l'azione, in particolare l'azione morale, la quale esiste a priori, prima che qualunque legge o pronunciamento la normativizzi, stabilendo cosa sia giusto e cosa non lo sia (d'altronde già Cicerone lo scriveva: "Sumus ad iutitiam nati neque opinione sed natura constitutuum est ius). Così, attraverso la decisione autonoma e consapevole di compiere un'azione rivolta alla giustizia ed al benessere collettivo, si proclama la propria autonomia, la propria maturità (il film è in fondo un classico racconto di formazione, un passaggio all'età adulta attraverso l'assunzione di responsabilità). E se un'azione singola può non fare una gran differenza, un'azione collettiva può essere più forte di qualsiasi ostacolo (una calamità naturale quanto un gruppo di strozzini).
La verbosità del film, la sua ridondanza, i suoi eccessi e le sue ripetizioni, sono certo in parte il risultato di una veloce riscrittura e di strettissimi tempi di consegna (il film ha esordito a Venezia il 5 settembre 2011; lo tsunami, vi ricordo, si è abbattuto sul Giappone l'11 marzo), nonchè dell'emozione del momento che avrà portato il regista a volervi inserire bozze di discorsi e riflessioni non sviluppate; ma è altrettanto vero che il suo procedere faticosamente, il suo "fluere lutulentulus" (per restare in ambito latino) è derivazione di una difficoltà di incasellamento dei tre registri sovramenzionati nell'arco di tutto il film, che tenta di rivolgersi contemporaneamente a: i singoli giapponesi in quanto esseri umani, i singoli giapponesi in quanto giapponesi, i singoli uomini non giapponesi in quanto esseri umani. Un impresa non da poco, che porta inevitabilmente a squilibri (narrativi: diramazioni di trama appena abbozzate, finale aperto inappagante e sconclusionato) e scompensi (di scrittura: molti personaggi solo abbozzati, altri, i protagonisti, caricati di una complessità interiore un po' difficilmente riconducibile ad adolescenti quattordicenni; di montaggio: ritmo incerto, fotografia/scenografia incerte fra il realismo "poetico" delle sequenze finali e l'iper-realismo degli ambienti degradati; di musiche: spesso troppo enfatiche o almeno eccessivamente presenti).
Malgrado i suoi difetti di forma, la sua corposa sostanza ne fa un film valido, supportato da un cast notevole, sia per quanto riguarda il protagonista (l'attore ha 19 anni, non 14) sia per diversi comprimari, nonché per il solito gusto registico di sviluppare la vicenda in modo anomalo, con conseguente imprevedibilità dell'intreccio.
Tratto dal manga monomio di Minoru Furuya.
Tratto dal manga monomio di Minoru Furuya.
Voto: 3/5
-The Land of Hope
Giappone 2012 - drammatico - 133min.
Due famiglie di un paesino della prefettura di Nagashima vengono sconvolte da un terremoto che procura dei danni alla centrale nucleare lì vicino. Le autorità fissano l'evacuazione obbligatoria per le abitazione nel raggio di 20 km dalla centrale; la linea di separazione cade proprio in mezzo al giardino di casa Ono, con la casa stessa che rimane appena oltre il limite di sicurezza. L'altra famiglia, i vicini di casa, devono invece andare in un centro di accoglienza. Da qui Mitsuru riparte assieme alla sua fidanzata Yoko in cerca dei parenti dispersi di lei (verosimilmente morti), mentre l'anziana coppia Ono decide di rimanere nella casa, perchè ormai anziani. Tuttavia il signor Ono (Isao Natsuyagi, memorabile) obbliga il figlio Yoichi (Atsushi Murakami) e la moglie di lui, Izumi (Megumi Kagurazaka) ad andarsene.
Dopo l'incidente di Fukushima, Sono rimaneggiò la sceneggiatura di Himizu per far rientrare la dinamica dell'incidente all'interno del film. Non soddisfatto, ha poi realizzato questo The Land of Hope, totalmente incentrato sul tema. Il maggior tempo a disposizione ha permesso di realizzare ciò che con Himizu non era stato possibile: una lunga, sofferta ma stavolta organica e coerente meditazione sulla vita, la morte, la tragedia della catastrofe e la speranza della rinascita.
I giapponesi hanno nel DNA la pacata rassegnazione al destino, la serena accettazione della morte; hanno anche un innato spirito combattente ed una volontà di riscatto del tutto evidente dal secondo dopoguerra. Tale polivalenza costituisce il fulcro di questo film sublime, un requiem per le vittime dell'incidente di Fukushima e un atto d'amore verso il proprio paese, ancora una volta in grado di rialzarsi, un passo alla volta, come sottolineato da alcune scene ricorrenti nella pellicola. Sono non cessa di essere sperimentale, sebbene qui per sperimentale non si intenda il simbolismo esoterico di film come It's me, Keiko! o la commistione grottesca di generi come Love Exposure. Il tentativo è quello di far emergere più che mai il sottotesto di genere presente in quasi tutti i suoi lavori, ovvero il melodramma, e di promuoverlo a motore principale della pellicola, raggiungendo picchi emozionali di sconvolgente trasporto, che nei campi lunghi delle rovine di macerie accarezzate dall'Adagio della decima sinfonia di Mahler produce uno stato simile al sublime romantico: massimo terrore, massima tristezza eppure anche massima gioia, massima speranza, massima potenza. Il tutto senza mai uscire dai canoni tecnici di una produzione realistica (seppur con tenui tocchi surreali quà e là).
D'altronde, come tutti i film di Sion Sono, The Land of Hope è un film di eccessi: la paranoia della contaminazione da radiazioni si trasforma in radiofobìa, l'attaccamento alla propria terra natìa e la disperazione al pensiero di perderla ("un giapponese non può camminare sul suolo giapponese?" esclama il vecchio signor Ono) portano alla decisione di permanenza in un luogo ormai mortifero, l'amore che lega Yoichi e Izumi li porta a restare uniti malgrado tutte le difficoltà e decidere di tenere il figlio che attende di nascere, e sempre l'amore porta Mitsuru e Yoko a decidere di sposarsi, con un abbraccio in mezzo alle rovine innevate che scalda il cuore degli spettatori.
Un film imperdibile i cui unici difetti sono qualche tempo leggermente dilatato che non avrebbe fatto male asciugare, ma anche questo è un marchio di fabbrica del suo autore.
Voto: 4/5
-Why Don't You Play in Hell?
Giappone 2013 - grottesco - 129min.
Un banda di sgangherati wannabe filmmakers denominati Fuck Bombers; due famiglie yakuza in lotta fra loro. La figlia del boss in fuga che si accolla un poveraccio che non centra nulla. Un unico destino.
La trama è sgangherata come al solito ed il fatto che la sceneggiatura sia vecchia di 15 anni (quindi prima del successo di Suicide Club che impose definitivamente Sion Sono all'attenzione di pubblico e critica) fa intuire una dimensione autobiografica del regista, nella figura del giovane aspirante regista iper-entusiasta e senza un soldo convinto che prima o poi il "Dio del cinema" si accorgerà di lui. Dopo il dittico drammatic sulle recenti catastrofi ambiental che hanno colpito il Giappone, Sono si prende una pausa dal cinema più ipegnato con una delle sue anarchiche scorribande nel grottesco spinto, mescolando yakuza movie, teen comedy, cinema sul cinema, kung-fu e parecchi tocchi splatter che sanno di eccessi Tarantin-iani (la caricaturale carneficina finale che occupa una buona mezz'ora). Purtroppo le idee non sono poi molte, ed il film sembra più un pout-pourri demenziale alla Exte che un progetto coeso con una precisa identità. Non mancano riminiscenze da altri film di Sono, come l'attenzione verso una gioventù creativa e volonterosa fino all'eccesso pur fra mille difficoltà (ne abbiamo visti in HAZARD, Himizu, Love Exposure ed altri) ed un concept metacinematografico che ricorda i diversi piani di realtà di Into a Dream. Solo per i fan.
Voto: 2,5/5
-Tokyo Tribe
Giappone 2014 - musical/musicale/gangster/grottesco/azione - 116min.
Musical rap/hip-hop/techno/disco su giovani gangsta e rispettive tribù che si contendono il dominio su Tokyo. Benvenuti nel delirio. Benvenuti in Tokyo Tribe!!!
Con questo film il geniale Sion Sono adatta il manga Tokyo Tribe2 di Santa Inoue, pubblicato dal 1997 al 2005 e seguito del monovolume Tokyo Tribe. Già dalla sequenza di apertura si rimane stupiti: un lungo pianosequenza in cui ci addentriamo nei vicoli di una Tokyo reinventata in studio come covo di punk e gangster dai colori sgargianti, guidati da un rapper che ci fa da Virgilio in questo girone infernale a ritmo di musica disco/rap/elettronica. Anche se non totalmente cantato, il film ha una colonna sonora praticamente ininterrotta che, assieme ai colori psichedelici di scenografie e costumi, ha un potere ipnotico sullo spettatore, avvinghiato da un magma audiovisivo che martella il nervo ottico e l'apparato uditivo. Fra una citazione e l'altra (Quentin Tarantino e Lars von Trier tra gli altri) assistiamo alla passerella di improbabili personaggi e conosciamo le principali gang che si contendono il dominio sulla città. La trama è esile e non ha molta importanza, ciò che conta è farsi trascinare dall'azione, sempre più improbabile e surreale al procedere del film, il quale finisce con una lunga sequenza di scazzottata generale che ricorda quelle di The Way to Fight o Crows Zero di Miike Takashi.
C'è di tutto in questo film: azione, erotismo, commedia, amore, dramma, comicità grottesca tipicamente nipponica e come detto tanta musica. Ci sono poi le stranezze e le trovate tipiche di Sono, come gli esilaranti stacchi montaggio sulla vecchietta DJ o gli spericolati movimenti di macchina. E vi si può persino leggere un'allegoria della società giapponese - ancora radicata nella logica feudale dei signorotti locali con piccoli eserciti al seguito e perennemente in lotta fra loro - nonchè notare la predilezione nipponica per i giochi di ruolo e le meccaniche da videogame, in questo caso gli strategici e i beat'em up (da Double Dragon ad Advance Wars). Poco importa allora se gli effetti speciali siano vistosamente posticci, o se le scenografie tradiscano a volte la loro natura artificiale: in un film-gioco come questo anche la mancata sospensione di incredulità può contribuire al divertimento.
Voto: 3,5/5